IVAN PYR’EV, L’ENIGMA DELLA MOSFIL’M
Oltre i confini della Russia Ivan Aleksandrovicˇ Pyr’ev (Kamen’-na- Obi, 1901 – Mosca, 1968) è più famigerato che famoso: il suo nome viene spesso citato di sfuggita e troppi ancora lo considerano ambiguo e artisticamente discutibile.
Pyr’ev è soprattutto ricordato – erroneamente – come l’inventore di un sottogenere distintamente sovietico: la commedia musicale ambientata nel kolchoz, i cui migliori esempi – Traktoristy [Trattoristi, 1939], Svinarka i pastuch [La guardiana dei porci e il pastore, 1941], V šest’ cˇasov vecˇera posle vojny (Alle sei di sera dopo la guerra , 1944), Kubanskie kazaki (I cosacchi del Kuban, 1950) – sono spesso sfavorevolmente paragonati ai film più hollywoodiani di Grigorij Aleksandrov. Nel dubbio, forse abbagliati dalle meravigliose cadenze o dalle sfumature sorprendentemente cupe dei musical più maturi di Pyr’ev, possiamo parafrasare Chrušcˇëv, il quale definì Kubanskie kazaki un eccellente esempio della visione distorta della realtà che caratterizzava il tardo cinema stalinista. E poi c’è Partijnyj bilet (1936). Il titolo e l’anno dovrebbero fornire chiare indicazioni, ma la recensione di un contemporaneo che ne criticava l’eccessivo lirismo suggerisce che il film non si riduce a semplice chiacchiera propagandistica sull’oggetto più sacro, vale a dire la tessera del partito.
In un penetrante saggio su Krest’jane [I contadini, 1934], capolavoro maledetto di Fridrich Ermler, Petr Bagrov ha così definito il regista, e per estensione Ivan Pyr’ev: “[Ermler] apparteneva a quella stirpe di pazzi come Vsevolod Pudovkin, Ivan Pyr’ev, Mark Donskoj – squilibrati, esplosivi, eccentrici, sciocchi, ingenui e cocciuti – che si rivelarono sensibilissimi psicologi, largamente in anticipo sui loro tempi, e seppero registrare il presente con precisione inaudita. Non fabbricarono piacevoli leggende e al contrario divennero vittime di storie e aneddoti poco credibili”.
Le parole di Bagrov confermano quelle di Béla Balázs, che così recensiva Konvejer smerti [Il portatore di morte, 1933]: “Questo film straordinario non è un’espressione del realismo socialista e non descrive la realtà del mondo capitalista. Anzi, non si avvicina a nessuna realtà. Le splendide immagini di Konvejer smerti ricordano piuttosto un delirio, il sogno di un ingenuo su una strana realtà di cui ha solo sentito parlare”. Definizione che con Pyr’ev funziona anche al contrario: in Ispytanie vernosti [Devozione, 1954], il suo piccolo e sconosciuto capolavoro dei primi anni del disgelo, Mosca sembra spesso la migliore New York Hollywoodiana. Pyr’ev era anche capace di immaginare il mondo che lo circondava come una bizzarra terra straniera piena di emozioni e pericoli, illusioni e disinganni.
A giudicare dalle storie e dagli aneddoti cui allude Bagrov, Pyr’ev era un uomo pieno di paradossi, un enigma anche per molti suoi amici. Oppure no? E se fosse semplicemente stato una mosca bianca, uno stilista eclettico dotato del buonsenso imprenditoriale e della saggezza politica che gli permisero di realizzare le visioni più ambiziose, un potente anticonformista e viceversa?
Per Pyr’ev il cinema era una forma di spettacolo intelligente per le masse, un’arte del popolo. Faceva film perché fossero compresi da tutti e sapeva che il patrimonio condiviso di storie e immagini era una scorciatoia verso l’inconscio collettivo, i sogni di una nazione, le sue aspirazioni e le sue paure, i suoi angeli e i suoi demoni. Sapeva quello che la gente desiderava.
(Olaf Möller)
Programma a cura di Olaf Möller