Alla Ricerca del Colore dei Film 2011

I COLORI DEL MUTO

Programma a cura di Mariann Lewinsky

Le immagini proiettate dalla lanterna magica hanno colori intensi. Le arti del diciannovesimo secolo s’inebriavano di colori – orientalismo, storicismo, abiti da sera del Secondo Impero e della Belle Epoque e, ovviamente, la pittura della luce da Turner fino agli impressionisti con il loro plein air. Le ricorrenze, sempre en plein air, come le parate erano soprattutto dei grandiosi spettacoli di colori, perché – oggi difficile da immaginare – l‘esercito era cosa estremamente frivola dal punto di vista visivo, con le uniformi in tutti i colori dell’arcobaleno, i copricapi fantastici, le piume e i pennacchi, i cordoncini d’argento e d’oro, i galloni e i bottoni. 

In occasione delle prime rappresentazioni del Cinématographe Lumière, la mancanza dei colori balzò subito all’occhio – “queste immagini (il défilé della visita dello zar a Parigi) mi lasciarono freddo, perché i colori, che in quell’occasione avevano un ruolo principale, non c’erano e quello che si vedeva rassomigliava a delle ombre pallide” (cronaca cittadina della «Zürcher Post», n. 92, 3 novembre 1896). Pallore e acromaticità sono sinonimi di inverno e morte; i colori e la loro vivacità invece significano l’estate e la vita. E la produzione cinematografica dovette affrontare il problema tanto da impiegare, in un primo momento, la tecnica sviluppata per la fotografia della colorazione a mano e, successivamente, adattando e perfezionando ulteriori procedimenti di colorazione. 

Molte copie nitrato, a differenza di quanto viene riportato sul loro stato fisico, sono tutt’altro che pazienti moribondi, ma sprizzano (per quanto tempo ancora?) vita e sono colorate in maniera magistrale. Tuttavia non vengono proiettate. Dobbiamo produrre dei sostituti per poter mostrare qualcosa della vividezza e dei colori dell’originale. Qualcosa – che vuol dire: il più possibile. La ricerca di questo più possibile è uno dei compiti del restauro dei film.

(Mariann Lewinsky)

ALLA RICERCA DEL COLORE DEI FILM SONORI

Programma a cura di Gian Luca Farinelli e Peter von Bagh

DOSSIER AGFACOLOR

Introdotto nel 1939, l’Agfacolor fu il primo processo negativo/positivo con sviluppo cromogeno di pellicole cinematografiche multistrato. Durante la Seconda guerra mondiale il procedimento fu usato per 13 film a colori. Dopo il 1945 dall’Agfacolor furono derivate altre pellicole a colori tra cui la Ferraniacolor. La conferenza di Gert Koshofer riguarda la storia tecnica dell’Agfacolor. Il suo primo uso in un lungometraggio risale al film dell’UFA Frauen sind doch bessere Diplomaten. I precursori dell’Agfacolor erano sistemi a due colori come l’Ufacolor, il processo di stampa tricromatico Gasparcolor e il complicato sistema Agfa Pantachrom. L’Agfacolor ebbe il sopravvento grazie al suo procedimento relativamente semplice. Fu una vera sensazione, soprattutto rispetto al Technicolor.

Lo sviluppo e l’introduzione dell’Agfacolor erano stati promossi dal governo tedesco e in particolare dal Ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels, il quale era convinto che i film a colori tedeschi avrebbero presto potuto competere con le produzioni di Hollywood.

Con l’eccezione di Kolberg di Veit Harlan, la maggioranza dei film a colori tedeschi prima del 1945 era costituita da commedie musicali (come Die Fledermaus), favole (come Münchhausen) o melodrammi (come Opfergang). Questi film ebbero un successo commerciale enorme non solo in Germania ma in tutta Europa, compresi i Paesi neutrali.

Facendo riferimento alla specifica situazione bellica, Friedemann Beyer presenta i più importanti lungometraggi tedeschi in Agfacolor tra il 1939 e il 1945, soffermandosi su registi, celebrità e tendenze e collocando queste opere nella battaglia per la conquista del predominio sugli schermi europei.

(Gert Koshofer e Friedemann Beyer)