La malattia e la guerra 

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Il tredicesimo capitolo del film è l’unico a comprendere nel titolo due nomi propri: Antoine e Cléo. Solo alla fine infatti la protagonista scopre nel giovane soldato uno spirito affine, in grado di comprenderla. 

Lei è ormai vicina a scoprire i risultati dell’esame clinico, lui, dopo un congedo di tre settimane, si appresta a ripartire per una guerra che non gli appartiene,”avrei preferito morire d’amore” confessa in tutta sincerità Antoine, durante la lunga conversazione al parco Montsouris. 

Pur non conoscendosi i due condividono la stessa angosciosa sensazione di finitezza e ma per questo sono in grado di mettersi a nudo l’uno nei confronti dell’altra. 

Agnès Varda ha voluto che i due personaggi chiave del film incarnassero due grandi paure collettive della Francia di fine anni Cinquanta-inizio Sessanta : il cancro da una parte, la guerra d’Algeria dall’altra. 

Per poter rappresentare al meglio il timore della malattia e le lacerazioni personali che essa comporta, la regista ha avviato una vera e propria indagine sul campo frequentando per qualche tempo l’Institut Curie e raccogliendo testimonianze sullo stato d’animo di chi ha atteso e poi scoperto di essere malato. 

Diverso è invece il modo in cui ha dipinto l’angoscia di Antoine nei confronti della guerra. 
La Guerra d’Algeria era scoppiata nel 1953 e nel 1961 si avviava al termine. Durante quegli anni molti intellettuali e molti registi si erano pronunciati a favore della pace e, per questo, molti film a carattere anticolonialista o antimilitarista avevano subito i tagli della censura o addirittura la totale negazione del visto per l’uscita in sala (fu il caso, ad esempio, di Le Petit Soldat di Jean-Luc Godard). 

Il 1962 è un anno decisivo in questo senso, il primo dall’inizio della guerra in cui è permessa l’uscita in sala di film con allusioni più o meno esplicite al conflitto. Cléo è uno di questi. 

Di Antoine Agnès Varda lascia trasparire alcuni tratti della personalità, alcuni sentimenti ma nulla che abbia a che fare direttamente con le atrocità che ha visto, inflitto o subito in guerra. Lo scopo è quello di non individualizzare il personaggio, di non renderlo un caso singolare, ma di dipingere un’angoscia che può ugualmente appartenere ad ognuno degli altri due milioni di soldati chiamati al fronte indipendentemente dal loro volere.
pP
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