Tenerezza e ironia. Vittorio De Sica, attore e regista

Vittorio De Sica rappresenta qualcosa di unico per la storia dello spettacolo italiano, una rivoluzione e una ventata di modernità in un paese che non aveva nessun attore da contrapporre ai divi di Hollywood che, tra muto e inizi del sonoro, avevano schiantato il cinema nazionale. Arrivato al cinema dopo un’importante gavetta teatrale, grazie ai successi del varietà e alla popolarità dei suoi dischi, diviene il primo divo italiano moderno, comparabile a Maurice Chevalier, a Gary Cooper, a Hans Albers. Ma è solo l’inizio di una carriera che non ha paragoni possibili, se non forse in quelle di Chaplin e di Welles. “Sono nato e rinato alla vita artistica almeno cinque volte”, diceva. Cantante e attore di rivista, di prosa, di cinema, De Sica matura, alla fine degli anni Trenta, la consapevolezza che se l’attore si risolve in un personaggio, il regista può essere tutti i personaggi. Da quando passa alla regia plasma i suoi interpreti, si identifica con loro, ne condivide le ragioni, ne assume i punti di vista. Tra- sforma attori non professionisti in icone, costruisce film dopo film la grandezza di Sophia Loren. In coppia con Cesare Zavattini è tra i massimi protagonisti del neorealismo. Vince due Oscar. Poi, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è una delle voci più vive della commedia all’italiana, ma anche l’autore di capolavori drammatici. Vince un altro Oscar. Nell’ultimo decennio è il regista di grandi coproduzioni internazionali. L’ultimo Oscar arriva nel 1971.Tra gli anni Venti e il 1974, è il mattatore di 157 film. Appare sullo schermo più spesso di Totò (che si ferma a 107) e di Alberto Sordi (che arriva a 151). Le sue interpretazioni sono sempre accompagnate da misura, eleganza, ironia, ma sia come interprete sia come regista è, fino alla fine, testardamente innovatore. Non a caso, continuerà ad avere problemi con la censura ben oltre la fine della stagione neorealista. Anche nel privato rincorrerà più vite, due mogli, Giuditta Rissone e Maria Mercader, due case, due famiglie, tre figli amatissimi, Emi, Manuel, Christian. Fin dagli anni Trenta parte della memoria condivisa del nostro Paese, è stato prima il Fidanzato d’Italia, poi l’Artista riconosciuto, infine protettiva icona paterna per un Paese che cambiava rapidamente. “Non credo potrà essere revocata in dubbio l’importanza della sua presenza nello spettacolo italiano di questo ultimo cinquantennio, la sua clamorosa capacità di rimbalzare da un mezzo all’altro, da quelli più tradizionali come il teatro e la stampa a quelli più moderni come il cinema, la radio, la televisione: sono pochissimi gli attori destinati a risultare altrettanto importanti nelle vicende dell’evoluzione sociale del paese, nella storia psicologica degli italiani in un momento decisivo del divenire di una nazione” (Orio Caldiron). È stato difficile selezionare otto titoli nel corpus così imponente e vario delle regie e delle interpretazioni. Ho scelto alcuni film chiave, forse meno noti al pubblico internazionale del Cinema Ritrovato. Una grande commedia romantica di Mario Camerini, alcune delle prime regie, La porta del cielo (film la cui lavorazione rappresentò un’autentica scialuppa di salvataggio per De Sica e un bel po’ di cinema italiano durante le ultime e concitate fasi dalla guerra), due interpretazioni per Blasetti, Peccato che sia una canaglia e Il processo di Frine, destinate a diventare, specie la seconda, classici della retorica attoriale desichiana, e infine il suo magnifico Generale Della Rovere, per Rossellini. Un invito a riscoprire il genio generoso e plurale di Vittorio De Sica.

(Gian Luca Farinelli)

 

Programma a cura di Gian Luca Farinelli 

In collaborazione con Michela Zegna