TEINOSUKE KINUGASA: DALL’OMBRA ALLA LUCE

A cura di Alexander Jacoby e Johan Nordstrom. Co-organizzatore: National Film Archive of Japan

Nonostante la sua fama, Teinosuke Kinugasa (1896-1982) si trova in un rapporto paradossale con la cinefilia internazionale. Jujiro (Incroci, 1928) è stato uno dei primi film giapponesi a essere proiettati in Occidente, Jigokumon (La porta dell’inferno, 1953) si è aggiudicato la Palma d’Oro a Cannes quando il cinema nipponico ha iniziato a conquistare un più vasto pubblico internazionale e, dopo la sua riscoperta negli anni Settanta, Kurutta ichipeiji (Una pagina di follia, 1926) è stato considerato un capolavoro dell’avanguardia. Eppure l’intera produzione di Kinugasa, che abbraccia più di quattro decenni con oltre cento film di una ricca varietà di generi, è ancora poco conosciuta all’estero.
Kinugasa entrò nell’industria cinematografica come attore specializzato in ruoli femminili (onnagata) in un’epoca in cui questi venivano ancora interpretati da uomini. Il dettaglio biografico riveste un particolare interesse alla luce di Yukinojo henge (La vendetta di un attore, 1935), il cui protagonista è un onnagata del teatro kabuki. All’inizio dgli anni Venti, quando le case di produzione introdussero le attrici, Kinugasa iniziò la sua carriera di regista. Durante l’epoca del muto lavorò alla Makino Pro, la compagnia fondata dal pionieristico regista Shozo Makino, oltre a produrre autonomamente (seppure con il parziale finanziamento della Shochiku) i propri muti sperimentali, Kurutta ichipeiji e Jujiro. Lavorò poi in successione presso tre delle principali case di produzione giapponesi, Shochiku, Toho e Daiei, realizzando film commerciali che ottennero, nei casi migliori, prestigio critico e buoni incassi.
L’opera di Kinugasa spazia da raffinati adattamenti letterari a film sulle arti sceniche fino a inconsuete pellicole in costume che rinunciano in larga parte all’azione violenta in favore di una sofisticata analisi storica e d’intensi drammi personali. Scrisse, da solo o in collaborazione, quasi tutti i suoi film; Akinari Suzuki, suo collega alla Daiei, disse che “le sceneggiature di Kinugasa non erano congegnate dalla mente di uno sceneggiatore ma visualizzate con gli occhi di un regista”. Secondo un altro collega alla Daiei, lo sceneggiatore Kazuo Funahashi, Kinugasa era solito mimare le immagini che inventava mentre i suoi collaboratori “tentavano disperatamente di riportare tutto su carta”. Come s’intuisce da questi aneddoti, che si cimentasse nell’espressionismo monocromatico o nell’uso pittorico del colore, Kinugasa era un autore creativo e visionario. Per la critica giapponese era anche il maestro del primo piano, come Mizoguchi era quello del campo lungo. E fu un abile regista d’attori, che coltivò lunghe collaborazioni con alcune delle più grandi star giapponesi, come Chojiro Hayashi (poi Kazuo Hasegawa) e Fujiko Yamamoto.
Questa retrospettiva, che attinge a restauri recenti e a copie d’epoca, alterna classici del muto e opere dimenticate dell’epoca sonora, facendo emergere una parte importante dell’opera di Kinugasa dalle ombre della storia del cinema.

Alexander Jacoby e Johan Nordström

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