Sotto la pelle. Il cinema di Bill Morrison

Programma a cura di Alina Marazzi
Note di Paola Cristalli e Alina Marazzi

 

Ho conosciuto Bill Morrison nel 1995, il giorno che varcò la soglia di Fabrica, la allora nuova ‘scuola di comunicazione’ voluta da Oliviero Toscani per Benetton e diretta da Godfrey Reggio. Io lavoravo da poco in quella struttura che era ancora un cantiere di Tadao Ando, collocato nella no-man’s land della periferia di Treviso, nel territorio in crescita del Nord Est degli anni Novanta. Bill, originario di Chicago, aveva studiato pittura alla Cooper Union di New York – un college pubblico – dove, partendo dal lavoro sulla materia del colore e delle tele, era approdato al lavoro sulla pellicola al nitrato. L’approccio alla materia del cinema di Morrison deriva dunque dalla sua formazione come pittore; Bill è affascinato dell’emulsione che si corrode e si decompone delle vecchie pellicole infiammabili, dagli stupefacenti effetti visivi che la stratificazione della componente chimica dei vecchi filmati d’archivio produce sulle immagini dei film impressionati sulla celluloide. Applicando il suo metodo pittorico, Morrison manipola spezzoni e scarti di vecchie pellicole componendo sul banco ottico delle sperimentazioni formali che sono sinfonie visive, vicine, per struttura e forma, alle composizione musicali.
Quando Bill arriva a Fabrica ha quasi trent’anni e ha un progetto per un nuovo film per il quale ottiene la borsa di studio, in quel primo anno della scuola. Il lavoro di Bill è solitario e misterioso, chiuso in una piccola stanza buia nell’algida architettura di Tadao Ando, dove lavora su una vecchia moviola Steenbeck e su un banco ottico che si è fatto arrivare da un vecchio laboratorio in dismissione. I fattorini della Benetton gli recapitano scatole di latta rotonde con dentro spezzoni 35mm di vecchie pellicole provenienti da archivi statunitensi. È questo il contesto in cui Bill lavora al suo primo film ‘narrativo’, che avrà poi il titolo The Film of Her. Ogni tanto sbircio nel suo stanzino e rimango affascinata dalle immagini in bianco e nero che Bill manipola ri-filmandole, re-inquadrandole e rallentandole tanto da farle sembrare altro, tanto da modificarne la forma trasformandola in gesto pittorico puro. Gli parlo del lavoro dei due artisti che considero grandi maestri, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian. Dopo poco più di vent’anni da quel nostro primo incontro mi pare una bella occasione dedicare un omaggio allo straordinario lavoro di questo artista ed archeologo del cinema; Bill ha realizzato più di trenta film, utilizzando sempre sorprendenti materiali d’archivio in collaborazione con musicisti di alto livello, tra gli altri, Michael Gordon, Bill Frisell, Philip Glass, Steve Reich, Jóhann Jóhannsson, Kronos Quartet, Alex Somers.

Alina Marazzi