Il cinema più grande della vita: 50 anni di CinemaScope
È stato nell’estate del 1953 ad Atlanta, Georgia, che ho avuto il mio primo assaggio di CinemaScope, con una dimostrazione tenuta durante una convention per gestori di sale, dove mi recai con mio padre. A quanto ricordo, il rullo di prova conteneva una serie di scene di imminenti film della Fox. Tra questi: The Racers, The Robe e How to Marry a Millionaire, assieme a una versione alternativa anamorfica del brano “Diamonds Are a Girl’s Best Friend”, da Gentlemen Prefer Blondes, di cui sarebbe uscita una versione standard nel luglio dello stesso anno. Trent’anni dopo, quando avevo già scritto su quel film e avevo discusso di come molti critici lo avessero erroneamente definito un CinemaScope, mi sono ricordato di aver visto l’altra versione di quella scena, il che mi ha fornito per lo meno un indizio. All’epoca avevo dieci anni e quando più tardi, lo stesso anno, dissi a mio padre, gestore della catena di sale cinematografiche di famiglia, che il CinemaScope era meglio perché era più grande, lui decise di prendere spunto dalla mia idea per l’inserzione pubblicitaria di King of the Khyber Rifles sul giornale locale: “È più grande! È meglio!” E con il suono stereofonico che mi avvolgeva da ogni parte, la dimensione non era solamente monumentale, ma ambientale. Scrivendo del CinemaScope, nel 1954 Roland Barthes fece questa osservazione: “Lo spazio più largo, bisognerà evidentemente occuparlo in modo differente; può darsi che il primo piano non sopravviva, o almeno modifichi la sua funzione: baci, sudore, psicologia, tutto ciò rientrerà forse nell’ombra e nella lontananza: deve sorgere una nuova dialettica fra gli uomini e l’orizzonte, tra gli uomini e gli oggetti, una dialettica della solidarietà e non più della scenografia. Questo dovrebbe essere, per dirla esattamen- te, lo spazio della Storia, dal punto di vista tecnico la dimensione epica è nata. Immaginatevi davanti La corazzata Potëmkin, non più collocata in punta a un cannocchiale, ma appoggiata tra l’aria, la pietra, la folla: questo Potëmkin ideale, dove voi potrete infine tendere la mano agli insorti, partecipare alla luce e ricevere, per così dire, la tragica scalinata in pieno petto, ecco che ora si rivela possibile; il balcone della Storia è pronto. Resta da capire quello che ci faranno vedere; se sarà il Potëmkin o La tunica, Odessa o Saint-Sulpice, la Storia o la Mitologia.”
Commentando questo testo utopico a distanza di quasi cinquant’anni, il teorico americano James Morrison sembra più scettico: “La comparsa del CinemaScope porta con sé un’intera ideologia di espansionismo, e non è sorprendente né accidentale che quasi tutte le imprese più rilevanti del cinema widescreen degli anni ’50 e dei primi anni ’60 siano caratterizzate da generi carichi di esaltazione e di magnificenza nei confronti del mito imperialista e delle fantasie colonialiste, in particolare i kolossal biblici (o pseudo-biblici) come The Robe, Demetrius and the Gladiators, Ben Hur; i drammi storici in costume come Exodus, Spartacus, Mutiny on the Bounty, Lawrence of Arabia; oppure i western, come Man of the West, The Tall Man, How the West Was Won. In effetti, gran parte di questi film ci raccontano, in modo molto esplicito, storie di conflitti coloniali, e la nuova dimensione epica dello schermo viene chiamata in causa per conferire a queste imprese un senso di trionfante retorica per le eccitanti e grandiose vittorie conseguite”. A dire il vero, credo che entrambe queste tesi siano corrette e che la storia degli inizi del CinemaScope possa essere scritta nello spazio che separa queste due interpretazioni.
Jonathan Rosenbaum