IL CIELO È VOSTRO. IL CINEMA DI JEAN GRÉMILLON
Jean-Alexandre-Louis-Eugène Grémillon nacque a Bayeux, nel Calvados, il 3 ottobre 1901. Morì a Parigi il 25 novembre 1959, lo stesso giorno in cui moriva Gérard Philipe, schiacciante coincidenza che autorizzò la stampa a riservare alla sua scomparsa un’attenzione molto sobria. Nella sua troppo breve vita Grémillon ha alternato film documentari e film di finzione, e più di chiunque altro ha sofferto i limiti imposti dalle produzioni; anche per questo, non ha avuto la fortuna che il suo talento meritava.
Può sembrare assurdo oggi parlare di probità, di dignità, di fermezza morale. Tuttavia, sono queste le qualità cui Grémillon si è sempre attenuto. No, non era un tipo divertente, ed è forse questo il solo rimprovero che gli possa esser mosso. Ma attenersi a un’etica, in seno a una professione che con l’etica poco ha a che fare, richiede certamente un fondo di serietà. Grémillon era serio anche perché aveva a cuore le cose: le questioni sociali, la conservazione dei film, il proprio rigore professionale. E non ha mai permesso che le sue contraddizioni, che fossero politiche sessuali o professionali, compromettessero la sua lucidità.
Quale sollievo, quale felicità si prova nel vedere come un vero artista sapesse accettare dei lavori su commissione, che non considerò mai indegni: fare il proprio mestiere, quali che siano gli strumenti di cui si può disporre, non è mai cosa indegna. In che modo uno se la cava, questo sì può essere oggetto di giudizio.
Come se la cavava Grémillon, quando non aveva dalla sua parte il motore potente dell’ispirazione?Seguendo il tracciato del racconto, attenendosi ai fatti senza risparmiare la leggenda, e stando ben attento a valorizzare la recitazione degli attori, che circondava d’una tecnica affettuosa, leggera eppure assai presente.
E come se la cavava quando si trovava invece su un terreno familiare, quando parlava d’amore per esempio, o della passione, o della vertigine, o della follia che qualche volta, per semplificare, chiamiamo Destino? Procedeva, allora, con il massimo scrupolo: spazzando via quei giudizi sommari che forse onorano l’oggettività, ma avviliscono il cuore. Ciò che esigeva da se stesso, era l’inquietudine: un’inquietudine comunicativa che non poteva, non doveva dissiparsi. Consolazione inutile che confina con la vigliaccheria: ecco quel che Grémillon pensava di ogni ritorno in extremis all’ordine morale. […]
I suoi film, calmi e sereni senza affettazione, intonano un inno continuo alla vita, organizzano omaggi discreti ma costanti alla passione, descrivono le piccole gioie stupide eppure essenziali che ci procura l’amicizia, e i grandi sentimenti generati dal conflitto tra il dovere e le aspirazioni personali. Rassegnato ma fiero, Grémillon si è costantemente impegnato a dimenticarsi di sé (e con quale generosità), a perdersi nei suoi personaggi, negli universi che ha saputo svelarci con una macchina da presa attenta e vibrante. E tuttavia mentre scorrono i suoi film, mai mediocri, mai mercantili, mi sembra che si possa sentire qua e là qualcosa come il suono di un’armonica lontana, come il richiamo sgomento di un uomo che grida: aiuto.
(Paul Vecchiali)
Programma a cura di Peter von Bagh