FOREVER SOPHIA

A cura di Emiliano Morreale

Simbolo dell’Italia, anzi di un’Italia mediterranea, esotica, e dunque esportabile per queste sue caratteristiche vistose: Sophia Loren, in una carriera lunghissima che ha toccato l’apice (un apice anch’esso pluridecennale) tra anni Cinquanta e Settanta, è stata tutto questo. Talmente italiana da risultare esotica anche per l’Italia stessa, agli inizi, tanto che i suoi primi ruoli furono spesso eccentrici (Aida, Cleopatra, imperatrice innamorata di Attila). Grazie a De Sica nell’Oro di Napoli e a Blasetti in Peccato che sia una canaglia questa sua fisicità diventò espressione di un’Italia esuberante, che portava ancora con sé l’alone dello sguardo neorealista sul dopoguerra ma appariva già lanciata verso il miracolo economico.
Di tutte le attrici di quel periodo solo lei riesce, nel decennio successivo, a resistere, e anzi trova la propria stagione più felice. Il marito Carlo Ponti costruisce su di lei un’operazione produttiva straordinaria (e, si sa, queste operazioni a tavolino non funzionano mai, se a nutrirle non c’è un incontro vero tra la star e il pubblico). Ancora una volta è De Sica, con la complicità di Mastroianni e dello sceneggiatore Zavattini, a inventare una diva perfetta per l’epoca: da un’Italia che diventa affascinante a livello internazionale, tra i film d’autore e gli strascichi della ‘Hollywood sul Tevere’, a un cinema americano alla fine della propria stagione più alta che guarda con interesse all’Europa. La ciociara, Ieri, oggi, domani, Matrimonio all’italiana sono allora esattamente speculari a El Cid, Arabesque o La contessa di Hong Kong. Il maestro del cinema impegnato, Francesco Rosi, dirige per lei una fiaba colorata che è insieme un viaggio nelle radici popolari d’Italia, C’era una volta…, in cui lei è, ancora una volta, principessa e popolana. Ma quando Hollywood rinasce in un’altra direzione, Loren continua a troneggiare in un’Italia in cui il cinema si fa sempre più scialbo e disperso. E raggiunge il grande ruolo della maturità in Una giornata particolare di Scola.
Sophia Loren è anche un esempio unico di intreccio tra star e industria, in un momento in cui il cinema italiano raggiunge l’acme del proprio prestigio internazionale. E così la sua figura divistica si trova davanti a un paradosso: quello di un glamour fatto di colori vistosi e intriso di umori popolari. La sua forza plebea poteva incarnarsi in figure eleganti e regali. Qualcosa che dalla realtà arriva al sogno, ma che alla realtà deve continuamente tornare per trovare forza. In un articolo del 1964, Mario Soldati fa il confronto con un modello opposto, quello di Audrey Hepburn, e paragona Sophia a “un’antica miniatura persiana” (l’esotismo, ancora): se l’attrice inglese, scrive, è “un simbolo intellettuale”, Sophia è qualcosa di paradossale: “un simbolo viscerale”.

Emiliano Morreale

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