THE STAR
Scen.: Dale Eunson, Katherine Albert. F.: Ernest Laszlo. M.: Otto Ludwig. Scgf.: Boris Leven. Mus.: Victor Young. Int.: Bette Davis (Margaret Elliot), Sterling Hayden (Jim Johannsen/Barry Lester), Natalie Wood (Gretchen), Warner Anderson (Harry Stone), Minor Watson (Joe Morrison), June Travis (Phyllis Stone), Paul Frees (Richard Stanley). Prod.: Bert E. Friedlob per Thor Productions 35mm
Scheda Film
“Vieni Oscar, andiamo a ubriacarci”, dice Bette Davis nel ruolo di Margaret Elliott afferrando il premio dalla scrivania (l’Oscar era proprio il suo). Già in stato d’ebbrezza, attraversa in auto la città offrendoci una spettrale panoramica delle residenze di una Los Angeles da museo delle cere. Tenendo una mano sul volante appoggia la statuetta sul cruscotto, la testa nascosta dietro lo specchietto retrovisore, e brinda “agli amici assenti”. La statuetta d’oro priva di testa, le luci sfocate nel buio e la bottiglia sintetizzano in un’inquadratura il solitario universo di Hollywood. Storia di un’ex diva in declino professionale e psicologico, The Star ha il cinismo coriaceo che manca a recenti biopic come Judy (2019). Pensato come una sorta di seguito di Eva contro Eva, presenta un tragitto più che mai accidentato. In realtà per Bette Davis gli anni Cinquanta non furono esattamente difficili, e questo genere di declino era semmai ciò che augurava alla sua rivale Joan Crawford. Più vicino alla realtà è Sterling Hayden (che ebbe il ruolo su suggerimento della Davis) nel ruolo dell’attore che ha lasciato Hollywood per dedicarsi all’amore per la vela. E la giovane Natalie Wood che cade dal ponte di una barca è una sinistra profezia della tragedia in cui perderà la vita. Girato in ventiquattro giorni, il film è ben articolato ed esplora alcuni dei temi prediletti di Heisler, come il conflitto tra maternità e carriera (Smash-Up; Tulsa) e l’esclusione da un mondo, quello dello spettacolo, che è stato al centro di sogni e sacrifici (Smash-Up). I personaggi vanno alla deriva fino al limite estremo prima di fare ritorno, feriti ma lucidi (si veda anche Journey into Light). Heisler mette a nudo le emozioni, rendendo i personaggi ancora più vulnerabili di quel che sono. A prevalere è il linguaggio del melodramma, portato qui quasi alla perfezione, ma il vagare disperato nella notte e il bussare affranto alle porte richiamano anche la logica del noir.
Ehsan Khoshbakht