THE SNAKE PIT

Anatole Litvak

Sog.: dal romanzo omonimo (1946) di Mary Jane Ward. Scen.: Arthur Laurents. F.: Leo Tover. M.: Dorothy Spencer. Scgf.: Lyle Wheeler, Joseph C. Wright. Mus.: Alfred Newman. Int.: Olivia de Havilland (Virginia Stuart Cunningham), Mark Stevens (Robert Cunningham), Leo Genn (dr. Mark Kik), Celeste Holm (Grace), Glenn Langan (dr. Terry), Helen Craig (Miss Davis), Leif Erickson (Gordon), Beulah Bondi (Mrs. Greer). Prod.: Anatole Litvak, Robert Bassler per Twentieth CenturyFox Film Corp. 35mm. D.: 108’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Opera innovativa nella sua rappresentazione della psicoanalisi e della malattia mentale, The Snake Pit giunse dopo il tentativo fallito di Anatole Litvak di realizzare un film su Sigmund Freud. Ma la foto incorniciata di Freud si ritrova appesa a una parete e le sue idee riempiono il film, che divenne di fatto la prima rappresentazione esplicita del complesso di Edipo in una produzione di Hollywood, cui seguì quello stesso anno The Dark Past (Pazzia) della Columbia.
Litvak, che durante la guerra aveva realizzato film sui soldati in cura per disturbo da stress post-traumatico, si imbatté nel bestseller semi-autobiografico di Mary Jane Ward su una donna appena sposata (ruolo che sarebbe andato a Olivia de Havilland) ricoverata in un reparto psichiatrico con sintomi di schizofrenia grave. Litvak acquistò i diritti per una grossa somma ma nessuno studio cinematografico mostrò interesse per un tema così lugubre. In seguito Darryl Zanuck ne scorse le potenzialità e affidò a Litvak la co-produzione e la regia. Nonostante mesi di ricerche negli ospedali di New York, la prima stesura di Frank Partos e Millen Brand fu rifiutata. Arthur Laurents sceneggiò la versione che vediamo, ma paradossalmente non fu incluso nei crediti a causa di una controversia con la Screen Writers Guild.
La rappresentazione del trattamento crudele riservato alle pazienti suscitò sdegno, sorprendentemente, nel Regno Unito, dove la censura tagliò dodici minuti. L’approccio sinceramente umanista del film comporta una maggiore presenza di riferimenti scientifici, che fanno sì che il racconto incespichi qua e là per poi però essere rafforzato con efficaci idee visive e dialoghi raffinati. Viene prestata anche grande attenzione al tempo (inquadrature di orologi) e alle porte. A prescindere dal loro significato simbolico, Litvak vuole che l’ospedale psichiatrico ricordi un campo di concentramento, con donne disperate dallo sguardo spento che vagano in uniformi numerate e dialoghi in polacco, italiano e tedesco. Rivive così i suoi ricordi di guerra in forma di melodramma. Come George Stevens nei suoi film postbellici, Litvak traduce l’orrore in storie che apparentemente non serbano alcuna relazione con i ricordi e le idee da cui sono state plasmate. Avvolto in molteplici strati, il dolore è troppo grande per essere rivelato apertamente.

Ehsan Khoshbakht

Copia proveniente da

Per concessione di Park Circus