VIAGGI NELLA NOTTE: IL MONDO DI ANATOLE LITVAK

A cura di Ehsan Khoshbakht

Nel passaggio da Mosca a Berlino, Parigi, Londra e Hollywood, Litvak cambiò sede produttiva e l’ortografia del suo nome, ma l’essenza del suo cinema rimase intatta: la vita come metafora di un viaggio nella notte, alla ricerca della luce dell’alba. I film di questo regista riservato e immune da sentimentalismi emanano un’aria notturna che si riflette anche in alcuni titoli: Blues in the Night, The Long Night, Decision Before Dawn.
Nato nel 1902 a Kyiv da una famiglia ebrea russa, Anatole Litvak conobbe la rivoluzione e la guerra, l’eleganza e la miseria. In sessant’anni i suoi film raccontarono uomini e donne imperfetti e instabili le cui crisi d’identità rispecchiavano gli sconvolgimenti del mondo tra la Rivoluzione russa e il secondo dopoguerra.
Noto agli amici come Tola, fu cosceneggiatore e produttore della maggior parte dei suoi film. Già all’epoca del muto era stato assistente e montatore di maestri come Abel Gance e G.W. Pabst e si era cimentato in tutti gli ambiti della produzione fuorché nella regia. Svolse anche un ruolo pionieristico, con opere che per mancanza di spazio non sono incluse in questa rassegna: il primo film hollywoodiano apertamente antinazista, The Confessions of a Nazi Spy, il ‘film saggio’ realizzato con materiali d’archivio The Battle of Russia e il remake americano, trasmesso in diretta televisiva, del suo più celebre film europeo, Mayerling.
Nonostante un dottorato in filosofia conseguito all’Università di Leningrado, come regista Litvak fu più istintivo che riflessivo. Per lui lo spazio contava più della storia, e con disappunto di alcuni dei suoi attori era solito iniziare la giornata sedendosi sul dolly per elaborare la scena attraverso i movimenti di macchina. “La macchina da presa era il suo dio” lamentò una certa Bette Davis. Le inquadrature ampie e lunghe gli servivano a creare armonia ma anche a stanare contraddizioni. Per lui la cinepresa era strumento musicale e microscopio.
Dopo la guerra la sua macchina da presa si assestò; i film di quegli anni rimandano a un uomo incupito e pensoso, alla ricerca di un nuovo equilibrio e impegnato a fare i conti con i relitti psicologici della guerra, anche quando la storia si svolge in un passato distante. Otto titoli di questa retrospettiva parlano di donne che tentano di stabilire la propria identità, principalmente da un punto di vista maschile. Se le donne reclamano l’identità perduta, gli uomini stentano a conservare la propria. Altri cinque film trattano del cambiamento dei valori maschili, dove la linea di demarcazione tra eroismo e tradimento, tra integrità artistica e compromesso e perfino tra bene e male appare sfumata. Litvak era anche il grande maestro dei finali: sorprendenti, sottili, moderni. Perfino nei suoi titoli meno eclatanti un ultimo atto straordinario scuote il film e lo ridefinisce. Se “tutto è bene ciò che finisce bene”, il cinema di Litvak non manca mai di confermarlo.

Ehsan Khoshbakht

Programma