The Man I Killed

Ernst Lubitsch

T. it.: L’uomo che ho ucciso. Tit. alt. Broken Lullaby. Sog.: dall’omonimo testo teatrale di Maurice Rostand. Scen.: Samson Raphaelson, Ernest Vajda. F.: Victor Milner. Scgf.: Hans Dreier. M.: W. Franke Harling. Int.: Lionel Barrymore (Dr. Holderlin), Nancy Carroll (Elsa), Phillips Holmes (Paul Renard), Tom Douglas (Walter Holderlin), Louise Carter (Frau Holderlin), Zasu Pitts (Anna), Lucien Littlefield (Walter Schultz). Prod.: Ernst Lubitch per Paramount.
35mm. D.: 75′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

The Man I Killed è uno dei film di Lubitsch più ingiustamente sottovalutati. Il soggetto e il tono cupo lo pongono molto lontano dallo stile delle commedie sofisticate: i recensori d’epoca, tuttavia, accettarono il passaggio da The Love Parade, Monte Carlo e The Smiling Lieutenant a un film che ne costituiva l’ “antitesi virtuale”, una sorta di Niente di nuovo sul fronte occidentale “più intimo e personale”.
L’ombra nera che pesa sul film è lo shock della guerra, il trauma di cui non è possibile liberarsi. Solo in trincea, il giovane soldato francese Paul Renard uccide con la baionetta un ragazzo tedesco, mentre questi lo guarda senza opporre resistenza. Le lettere del ragazzo rivelano che Walter, come Paul, era un musicista che prima della guerra viveva a Parigi, e che non voleva uccidere. Lungo tutto il film Paul si sente dire di dimenticare il passato. Ma il talento di Lubitsch per l’ellissi preannuncia il peggior futuro: gli occhi vuoti del protagonista mostrano i costi della guerra per i vincitori che non possono trovare la pace interiore. Nella notte le campane annunciano il primo anniversario dell’armistizio; cannoni fanno fuoco sul campo di battaglia; le campane suonano ancora, la folla festeggia; attraverso lo spazio lasciato libero dalla gamba amputata di un soldato, vediamo la cavalleria percorrere in parata gli Champs Elysées. Poi, in un ospedale, i letti scorrono uno dopo l’altro sotto i nostri occhi; quindi di nuovo cannoni che sparano. Un paziente si solleva di scatto, grida, si tiene la testa. Un prete dice ai soldati di dimenticare, di guardare avanti, ma noi vediamo la fondina gonfia d’una pistola, stivali con gli speroni. Paul confessa il suo omicidio per sottrarsi all’incubo che lo perseguita, ma l’assoluzione del sacerdote, in nome del dovere militare, non significa nulla per lui. Andrà in Germania, a chiedere perdono alla famiglia di Walter.
Nel ruolo di Paul, Phillips Holmes “si muove come stordito”, scrisse (elogiandolo) Mordaunt Hall sul “New York Times”, come distratto da suoni o visioni che nessuno puòpercepire – non diversamente dal protagonista assassino di An American Tragedy, appena interpretato per Sternberg. Quando Paul arriva nel paese tedesco, il suo eloquio e il suo fare esitanti innescano un gigantesco equivoco. I genitori e la ragazza di Walter, annichiliti dalla sua morte, si aggrappano alla speranza che Paul fosse un amico dei tempi di Parigi. Lo accolgono nella loro casa, gli fanno prendere il posto dell’uomo che ha ucciso. La bellezza dell’ironia lubitschiana non maschera mai quel che è davvero in gioco per questo sopravvissuto – il solo che non ha altra scelta, se non ricordare.

Janet Bergstrom

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