The Crowd
Sog.: King Vidor; Scen.: King Vidor, John V.A. Weaver, Harry Behn; F.: Henry Sharp; Mo.: Hugh Wynn; Scgf.: Cedric Gibbons, Arnold Gillespie; Co.: André-ani; Int.: James Murray (John Sims), Eleanor Boardman (Mary Sims), Bert Roach (Bert), Estelle Clark (Jane), Daniel G. Tomlinson (Jim), Dell Henderson (Dick), Lucy Beaumont (la madre di Mary), Freddie Burke Frederick (il figlio), Alice Mildred Puter (la figlia), Claude Payton, Warner B. Richmond, Virginia Sale; Prod.: Irving Thalberg, King Vidor per MGM; Pri. pro.: 3 marzo 1928 35mm. D.: 103’ a 22 f/s. Bn.
Scheda Film
Il tema dell’isolamento dell’individuo nella città – microcosmo sociale – è trattato in modo infinitamente migliore da Primo amore (1928) di Paul Fejos e anche da L’ultimo uomo (1924) di Murnau. È vero che Vidor complica il dramma della solitudine dell’individuo medio nella folla con il dramma della riuscita obbligata che l’America impone ai suoi concittadini.
Appartenere alla folla, essere uno dei suoi, dice in sostanza una didascalia, dividersi la sua solidarietà, è essere integrati, giocare il suo gioco, non avere né bisogni né problemi particolari. A questo prezzo (…) la folla apporta un bagno di forza e di gioia, al peggio d’indifferenza. Essa non è un male. Essere riconosciuti dalla folla, accettati o amati da essa, presuppone di esserne usciti, presuppone il successo. Il dilemma che pone Vidor è quindi insolubile perché in tutti i casi, nella folla o fuori da essa, anonimo o “qualcuno”, bisogna prima di tutto avere successo. La polemica diviene così delle più sottili (ma al prezzo della sua evidenza): Vidor potrebbe allora fare il processo di una nazione che ha bisogno dei grandi uomini (sono disgraziate le nazioni che hanno bisogno di grandi uomini, diceva Bertolt Brecht), che accusa in ognuno il gusto e il bisogno del trionfo individuale, di una supremazia personale, e che è beninteso perfettamente incapace di garantire a tutti la possibilità di questo esito, di distinguersi. Un tale processo si profila in ogni caso quando l’eroe rigetta la riuscita “eccezionale” (che sua moglie gli rinfaccia come esempio) del suo grosso amico Ben (Bert Roach), arrivato, dice, a forza di leccare stivali. Si precisa meglio ancora quando i concorsi di slogan pubblicitari e la fortuna istituzionalizzata appaiono come strumenti di integrazione, di alienazione attraverso l’aspettativa frustrata. Perché il dramma reale della Folla, il dramma del suo eroe John Sims (James Murray) è in fin dei conti un dramma dell’ambizione.
Barthélémy Amengual, Entre l’horizon d’un seul et l’horizon de tous, “Positif”, n. 161, settembre 1974
Questa colonna sonora è in realtà un collage di molti elementi. Oltre a brani tratti da Il mandarino meraviglioso di Béla Bartók e da 1 X Love e Celia di Charles Mingus, contiene infatti musica composta espressamente da me e che verrà eseguita dal vivo, con aggiunta di improvvisazioni, da un complesso jazz. Il terzo elemento è costituito da una serie di effetti speciali sonori, anche questi prodotti dal vivo dai musicisti in sincrono con la pellicola. Quarto e ultimo elemento, una serie di basi musicali preregistrate.
Henrik Otto Donner
Da: Photoplay Productions con concessione di Warner Bros