The Cabin In The Cotton
T. It.: Tentazioni; Sog.: Dal Racconto Di Harry Harrison Kroll; Scen.: Paul Green; F.: Barney Mcgill; Mo.: George Amy; Scgf.: Esdras Hartley; Mu.: Leo F. Forbstein; Int.: Richard Barthelmess (Marvin Blake), Dorothy Jordan (Betty Wright), Bette Davis (Madge Norwood), Hardie Albright (Roland Neal), David Landau (Tom Blake), Walter Percival (Cleve Clinton), Berton Churchill (Lane Norwood), Dorothy Peterson (Lilly Blake), Russell Simpson (Zio Joe), Tully Marshall (Old Slick Harkness), Henry B. Walthall (Eph Clinton), Edmund Bree- Se (Holmes Scott), John Marston (Avv. Russell Carter), Erville Alderson (Sock Fisher), William Lemaire (Jake Fisher), Clarence Muse (Un Uomo Di Colore Cieco), J. Carrol Naish; Prod.: Hal B. Wallis, Jack L. Warner, Darryl F. Zanuck Per Warner Bros. E First National Pictures Inc.; Pri. Pro.: Settembre 1932; 35mm. D.: 78′. Bn.
Scheda Film
The Cabin in the Cotton (1932) è una di quelle opere rare e inaspettate – anche nel contesto della solida produzione pre-Codice Hays – che tutti abbiamo sempre sperato di scoprire: un film “sociale” privo di quel compromesso che in genere tradisce la grande promessa iniziale nella maggior parte degli altri film (anche in seguito questo si verifica solo raramente e soprattutto, come in questo caso, in film minori e poco visti come Give Us This Day, Cristo fra i muratori di Edward Dmytryk, del 1949). La storia del percorso verso la dannazione morale (o quasi) del figlio di un povero mezzadro sferra un attacco frontale agli orrori del capitalismo, pur mantenendo una certa relatività in questo senso. Il film si scaglia infatti ferocemente contro il personaggio di un capitalista, ma non si pronuncia direttamente contro il capitalismo in quanto sistema. Un’altra particolarità del film consiste nel fatto che è forse più la natura radicale delle singole scene – come la spietata uccisione dell’amico del protagonista – e non tanto l’opera nel suo insieme, a creare il pathos. Il film è anche una straordinaria dimostrazione di coscienza di classe al pari dell’esempio più ovvio dell’opera di Curtiz, il suo primo film tuttora esistente Jon az ocsém (Mio fratello ritorna, 1919), cortometraggio realizzato durante la rivoluzione socialista in Ungheria. È evidente la capacità del regista nell’animare e arricchire una materia che avrebbe facilmente potuto risultare ovvia: la fondamentale solitudine e la vacuità dei ceti elevati circondati da un eccesso di ricchezze, opposte ai ritmi naturali e alla vita semplice dei poveri. In particolare le immagini che descrivono il lavoro, il tempo libero e gli stili di vita, composte nel tipico stile di Curtiz, risultano straordinarie e vengono completate dal classico montaggio Warner Brothers, al quale va sempre reso omaggio. Il film si avvale di un cast eccezionale, con Richard Barthelmess in uno dei suoi ultimi ruoli di rilievo (in seguito vi sarà ancora Only Angels Have Wings) e Bette Davis in una delle sue prime interpretazioni importanti, in compagnia di altri volti mitici quali quelli di Russell Simpson, Henry Walthall, Tully Marshall. Le istanze del conflitto di classe vengono descritte con maestria anche nella “storia d’amore” tra Barthelmess e la Davis, la ragazza ricca che seduce il giovane umile non tanto per passione, quanto piuttosto attratta dall’idea di spingerlo a disinteressarsi della sua classe e della sua gente. Tutte le delicate scene sulla percezione della propria classe sociale, sulla tragedia dell’inganno e sulla moralità (come il discorso di Barthelmess nel finale) sono impeccabili. Lo stesso vale per il senso di ineluttabilità e di costrizione, nella migliore tradizione di Curtiz: prima viene il raccolto, poi gli esseri umani, sempre che siano in grado di sopravvivere.
Peter von Bagh