Tell Me Lies

Peter Brook

Sog.: dall’opera teatrale di Denis Cannan. Scen.: Peter Brook, Michael Kustow, Michaels Scott. F.: Ian Wilson. M.: Ralph Sheldon. Mus.: Richard Peaslee. Su.: Robert Allen. Int.: Mark Jones, Pauline Munro, Eric Allan, Glenda Jackson, Peggy Ashcroft, Paul Scofield, Kingsley Amis, Stokely Carmichael. Prod.: Peter Brook per Brook Productions, Peter Sykes, Ronorus. Pri. pro.: 17 febbraio 1968. DCP. D.: 108′. Col e Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Da: Technicolor Foundation for Cinema Heritage

Tell Me Lies
è un mélange di stili della Royal Shakespeare Company che espone tutti i possibili argomenti contro la guerra del Vietnam (compreso il fatto che stiamo trasformando i ragazzi di Omaha in omosessuali). Il metodo è esplicitamente brechtiano: ci sono canzoni, sketch, interviste, filmati documentari. Uscito l’anno scorso al culmine delle proteste anti-Vietnam (dopo il Pentagono, prima dello stop ai bombardamenti e durante le primarie di McCarthy nel New Hampshire e nel Wisconsin), Tell Me Lies è stato stroncato dalla critica newyorkese. Stanley Kauffman di “New Republic” ha riassunto il caso dicendo che “era il film sbagliato al momento giusto”. Il giudizio unanime era che Tell Me Lies fosse politica da quattro soldi, un’interpretazione in bianco e nero che puntava a vincere facile. Ignorando le complessità che portano una nazione ‘illuminata’ e ‘democratica’ a massacrare innocenti, Tell Me Lies finiva per denigrare tanto i falchi quanto le colombe (di lì a poco Green Berets avrebbe fatto lo stesso, dal punto di vista conservatore). Un anno dopo, l’effetto di Tell Me Lies appare mitigato. Il film non si proponeva tanto di condannare a tutti i costi l’Occidente quanto di descrivere l’angoscia della situazione. Dato però che rappresentava tutte le sfumature della posizione anti-Vietnam, dalla realpolitik alle motivazioni morali, era destinato a scatenare attivisti di ogni provenienza. Non era il film a essere a senso unico, ma il suo pubblico: ecco il perché di questa ingiusta accoglienza. […] Il film ha molti buoni momenti: la ricostruzione delle ultime quarantotto ore di vita di Norman Morrison, il giovane quacchero che si è dato fuoco davanti al Pentagono; le parole di Stokely Carmichael sulla guerra e il razzismo; una rassegna di 1001 Ways to Beat the Draft, pamphlet satirico contro la leva obbligatoria (“Scorreggia l’inno nazionale”, “Tira fuori l’uccello e chiedi se entrerà nelle ragazze del Paese in cui finirai”). E naturalmente le canzoni: Zappin’ the Cong, We Maim by Night, We Heal by Day e The Ballad of Barney Banshol (il ragazzo del Minnesota che ha gettato escrementi in un ufficio di reclutamento).

Paul Schrader, Films and Vietnam, “Los Angeles Free Press”, 14 febbraio 1969

Restaurato nel 2012 da Groupama Gan Foundation for Cinema and Technicolor Foundation for Cinema Heritage