Cinemalibero
Nel luglio del 1960 si svolgeva la prima edizione della Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme. Bruno Grieco, con la complicità di Gian Paolo Testa, aveva convinto due intellettuali di rango come Cesare Zavattini e Leonida Repaci a creare un festival diverso, alternativo a Venezia. Il meglio del cinema di innovazione trovò a Porretta la sua casa. A metà degli anni Ottanta la Mostra si trasferì a Bologna e qui, in collaborazione con la Cineteca, diede vita al Cinema Ritrovato. Avvicinandoci ai trent’anni del nostro festival abbiamo voluto abbeverarci alle fonti originali con questa sezione Cinemalibero, un binomio scelto anche come titolo di una nuova collana delle Edizioni Cineteca di Bologna. Perché Cinemalibero oggi? Apparentemente possiamo vedere tutto, gli schermi reali e virtuali non fanno che moltiplicarsi. Ma la realtà è diversa. I film sono sempre più simili tra loro; le differenze culturali impallidiscono; il pubblico si affolla intorno a pochi titoli, sorretti da una forte concertazione mediatica. Gli autori, fuori dalle regole del mercato, con sempre maggiore difficoltà possono esprimere le loro idee. I discorsi sul cinema, spariti dalla stampa quotidiana, restano chiusi nei recinti dell’Università. La parola sperimentazione è stata bandita dal territorio cinematografico come qualcosa di inutile, o persino imbarazzante. Ecco perché, in questo opaco 2013, abbiamo voluto dedicare una sezione del Cinema Ritrovato ai film che hanno aperto sentieri inediti, spesso oscurati al loro apparire e poi dimenticati, film che mantengono intatta la loro forza di invenzione e di scoperta. Ciascuno di questi film ha una storia emblematica. Presentando a Cannes Maynila, grande film intriso di amore per il cinema, che per la forza dirompente ricorda il primo Fassbinder, Pierre Rissient ha reso noto che sopravvivono non più di quattro negativi dei sessanta film girati da Lino Brocka. Tell Me Lies, realizzato nel 1968 a Londra da Peter Brook, è invisibile da quarant’anni: un incrocio ancora bruciante di linguaggi e generi svela i meccanismi secondo i quali la guerra, con la sua carica di morte e di orrore, entra nel nostro quotidiano attraverso i mezzi di comunicazione. Nel 1955 Agnès Varda mette le basi per un cinema nuovo nello stile e nel contenuto: e infatti La Pointe courte non avrà mai un distributore, Henri Langlois sarà tra i pochi a programmarlo. L’anticolonialismo di Afrique 50 di René Vautier vale al regista il carcere militare; il negativo viene distrutto. Con Avoir vingt ans dans les Aurès Vautier realizzerà poi un film lirico e sedizioso, censurato in quanto primo film francese a mostrare gli aspetti nascosti della guerra d’Algeria. Lettre à la prison (1969) dell’italo, ebreo, tunisino, francese Marc Scialom è uno sconvolgente documento sullo sradicamento dei magrebini in Francia: un linguaggio poetico a metà strada tra Pasolini e i surrealisti. In pieno ’68, Jackie Raynal e il gruppo Zanzibar prediligono la radicalità sperimentale a quella direttamente politica… Barham Bayzaei è riuscito a portare negli USA una copia del suo Ragbar (negativo confiscato e distrutto dal governo iraniano) e la World Cinema Foundation l’ha restaurato, come ha riportato in vita il primo film di Ousmane Sembène, Borom Sarret, che lascia stupefatti per la semplicità sorretta da uno sguardo profondamente etico. Abbiamo scelto i due piedi che spuntano dal carretto di Borom Sarret come stella polare di questa sezione. Dedicata a cineasti pronti a percorre lunghi viaggi e a spettatori preparati ad attraversare deserti per trovare sorgenti che dissetano.
(Gian Luca Farinelli)
Programma a cura di Gian Luca Farinelli