PLAYTIME

Jacques Tati

Tit. it.: “Playtime – Tempo di divertimento”; Scen.: Jacques Tati, Jacques Lagrange; F.: Jean Badal, Andréas Winding; M.: Gérard Pollicand; Scgf.: Eugène Roman; Mu.: Francis Lemarque; Int.: Jacques Tati (Hulot), Barbara Dennek (Barbara), Jacqueline Lecomte (amica di Barbara), Georges Montant (Giffard), Reinhart Kolldehoff (direttore tedesco), John Abbey (Mr. Lacs), Valérie Camille (segretaria di Mr. Lacs), Marc Monjou (falso Hulot), Georges Faye (architetto), Gilbert Reeb (cameriere); Prod.: Bernard Maurice per Specta/Jolly 70mm. D.: 155’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Oggi Playtime occupa un posto a parte nella storia del cinema francese: film mitico e nello stesso tempo quasi invisibile, proiettato troppo raramente. Il costo esorbitante delle stampe 70mm ha limitato la sua distribuzione nelle sale, le copie in 35mm sono in misero stato, le videocassette in commercio tagliano i lati dell’immagine, lasciando fuori campo e fuori gioco alcune scene. Nel luglio 2001 Sophie Tatischeff e Jérôme Deschamps rimisero il restauro di Playtime all’ordine del giorno. La scomparsa di Sophie nell’ottobre 2001 non le permise di vedere realizzato un progetto cui teneva moltissimo.
François Ede, Stéphane Goudet, Playtime, Paris 2002

Playtime non assomiglia a nulla che già esista al cinema. Non ci sono altri film inquadrati o mixati così. È un film che viene da un altro pianeta, dove i film si girano in maniera diversa. Forse Playtime è l’Europa del 1968 filmata dal primo cineasta marziano, dal “loro” Louis Lumière? Lui vede quello che noi non vediamo più, sente quello che noi non sentiamo più, gira come noi non facciamo.
Da una lettera di François Truffaut a Tati, 23.12.1967

Il critico Dave Kehr aveva ragione: “Il film visivamente più inventivo degli anni ’60 è anche uno dei più divertenti. Con questa straordinaria commedia sull’uomo e sul mondo moderno, Jacques Tati cercò niente meno che di rielaborare completamente le consuete norme del montaggio e, cosa ancor più sorprendente, ci riuscì. Invece di tagliare all’interno delle scene, Tati crea quadri comici così dettagliati che, come ha giustamente detto Noël Burch, il film non solo deve essere visto diverse volte, ma da diversi punti della sala, se lo si vuole apprezzare appieno. Nel corso dei tre grandi movimenti del film, il timore di M. Hulot (interpretato da Tati) nei confronti delle torri di vetro e dell’ambiente ultramoderno che lo circonda si trasforma fino ad essere trasceso in poesia. Un capolavoro tra i capolavori, e certamente la parola definitiva su Mies van der Rohe”. Si potrebbe aggiungere che, con il 70mm, le possibilità di perdersi creativamente all’interno degli ampi quadri di Tati aumentano considerevolmente, raggiungendo una sorta di apogeo nella straordinaria sequenza del ristorante, che costituisce quasi metà del film. E quando un gruppo di musicisti inizia a suonare davanti a questo sistema allo sfascio, cercando di instaurare gradualmente una coesione e una prassi sociale mentre il locale pressoché al completo inizia a crollare, lo sguardo dello spettatore si unisce inevitabilmente alla danza improvvisata dei vari avventori, prendendovi parte. È significativo che Tati abbia scelto di accompagnare la fine del film con una musica di chiusura, rifiutandosi di far chiudere il sipario al termine delle première: voleva che gli spettatori trovassero una loro continuazione del film nel mondo esterno.
Jonathan Rosenbaum

Copia proveniente da

Restaurato da Gulliver Team nel maggio 2002