Meghe Dhaka Tara

Ritwik Ghatak

T. it: La stella nascosta. T. int.: The Cloud- Capped Star. Sog.: da un racconto di Shaktipada Rajguru. Scen.: Ritwik Ghatak. F.: Dinen Gupta. Mo.: Ramesh Joshi. Mu.: Jyotirindra Maitra. Int.: Supriya Chowdhury (Nita), Anil Chatterjee (Shankar), Bijan Bhattacharya (Taran, il padre), Gita Dey (la madre), Gita Ghatak (Gita), Dwiju Bhawal (Mantu, il fratello), Niranjan Roy (Sanat). Prod.: Chitrakalpa. Pri. pro.: 14 aprile 1960 DCP. D.: 126’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il linguaggio cinematografico è un lin­guaggio universale e, allo stesso tempo, profondamente nazionale. Vale a dire che bisogna far fondere queste due dimensio­ni l’una nell’altra attingendo ai simboli e agli archetipi del nostro paese. […] È perché, sì, evidentemente, io mi ispiro ad alcuni modelli stranieri. Bisogna ru­bare ai grandi maestri, a quello che c’è di universale. Una certa dose di assimi­lazione, un’altra di sintesi, ecco di cos’è fatta questa ricerca. Noi abbiamo cercato di creare una corrente. Ma eravamo solo degli individui, come tanti uccelli solitari. All’epoca, la situazione del paese rendeva impossibile ogni movimento unitario. Io sentivo le cose alla mia maniera; gli altri alla loro e tuttavia c’è stata sempre un’u­nica e comune ricerca.
Ogni artista ha il dovere di preservare la propria capacità di stupore, di rimanere interiormente vigilante ed eternamente vergine. Senza questa facoltà gli sarà im­possibile compiere grandi cose. Il sottile segreto che si nasconde dietro ogni atto di creazione consiste sostanzialmente nel soffermare il proprio sguardo su ogni cosa, nel fissarla in una silenziosa mera­viglia, nel lasciarsi affascinare da qualche oggetto passeggero o nell’abbandonarsi alla pienezza del piacere, poi dopo lungo tempo, venuta la tranquillità, nell’estirpa­re questo sentimento intimo dal granaio del proprio spirito, dargli una forma e sof­fiargli la vita. In un modo o nell’altro, ogni artista riesce a trasportare con sé la pro­pria infanzia, la conserva nascosta in ta­sca fino all’età adulta. Se gli sfugge, non è più che un vecchio barbogio; ha cessato di essere un artista e diviene un teorico. L’infanzia è uno stato mentale estrema­mente fragile, uno stato di ripiegamento in se stessi, alla maniera di quelle piante selvatiche e delicate che appassiscono al minimo contatto. Al contatto grossolano del quotidiano, l’infanzia si sfalda, avviz­zisce e perde la sua energia.
Ogni artista ha forzatamente conosciuto questa esperienza.
(Ritwik Ghatak)

Aggiungete le linee oblique, gli alberi, le rive del fiume, il treno, che sembrano per­dere l’equilibrio a causa della tensione tra il vuoto e il pieno. Aggiungete il canto, le sue rincorse, i suoi terreni scoscesi, le sue cadute, le sue risalite improvvise, il rumore del treno che lo attraversa sdop­piandone e affrettandone il ritmo. Aggiun­gete i movimenti spasmodici di Shankar. La lenta variazione degli spostamenti di Nita. Otterrete un’immagine nella quale, con tre inquadrature semplicissime, Gha­tak conferisce al suo film una modulazio­ne fatta di scontri e conflitti, qui ancora contenuti, e un disequilibrio formale in ogni istante, come un’eco al disequili­brio storico e personale che costituisce lo sfondo melodrammatico a tutti i suoi film: la divisione del Bengala.
(Raymond Bellour)

 

 

Restaurato nel 2012 da Fondazione Cineteca di Bologna presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata a partire dal negativo camera originale, dal negativo suono e da un controtipo positivo combinato provenienti dal National Film Archive of India