Me And My Gal

Raoul Walsh

T. alt.: Pier 13. T. it.: Io e la mia ragazza. Sog.: dal racconto Pier 13 di Philip Klein e Barry Conners. Scen.: Arthur Kober. F.: Arthur C. Miller. Mo.: Jack Murray. Scgf.: Gordon Wiles. Mu.: George Lipschultz. Su.: George Leverett. Int.: Spencer Tracy (Danny Dolan), Joan Bennett (Helen Riley), Marion Burns (Kate Riley), George Walsh (Duke), J. Farrell MacDonald (Pop Riley), Noel Madison (Baby Face), Henry B. Walthall (Sarge), Bert Hanlon (Jake), Adrian Morris (Allen), George Chandler (Eddie Collins). Prod.: Fox Film Corporation. Pri. pro.: 4 dicembre 1932 35mm. D.: 79’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Me and My Gal, io e la mia ragazza, è un titolo perfetto per questo film fresco e asimmetrico, vivido e sbilanciato, una del­le rarità proposte dalla nostra retrospetti­va, quasi ignoto al pubblico non america­no, e che conta estimatori molto autorevo­li. Io e la mia ragazza, e davvero non c’è quasi nient’altro: certo, c’è un’affannata trama parallela di gangster che ritornano dal passato d’una segretaria brunetta e la coinvolgono nel piano d’una rapina in ban­ca, ma tutta la storia sembra puro rincalzo a ciò che conta davvero, la schermaglia pepata, linguacciuta e molto sexy che si gioca tra il poliziotto Spencer Tracy e la cassiera Joan Bennett. Walsh asseconda Tracy dalla prima sequenza all’ultima, e gli concede un lungo, splendido, giro­vagante incipit in cui definire una perso­nalità fatta di modi spicci, buon cuore e humour tagliente: quando da poliziotto di ronda nei docks viene promosso detective, è per aver salvato dall’annegamento un moscone da bar che aveva un attimo pri­ma allegramente sbeffeggiato (“torna da tua moglie”, “ma io non sono sposato!”, “che donna fortunata”). Bennett dal canto suo è tutta un’allusione, una ribattuta fol­gorante, un provocatorio masticare gom­ma, un’assestatina maliziosa alle onde del caschetto biondo, e per certi tratti Me and My Gal sfoggia un dialogo (così come una padronanza del sonoro) e una messinsce­na del desiderio in vibrante sintonia con le migliori commedie romantiche dei primi anni Trenta – e con in più un certo ardore sperimentale. Mi limito qui a ricordare la scena in cui, i corpi incollati su un divano come un codice Hays in piena funzione mai avrebbe permesso, Tracy e Bennett si dicono cose su se stessi e le proprie aspi­razioni mentre, in alternanza, le loro voci off rendono noto quel che davvero stanno pensando, più o meno come farà mezzo secolo dopo il Woody Allen di Io e Annie; e lascio la parola al più illustre commentato­re del film, il grande critico e artista ame­ricano Manny Farber: “Nel 1931 Walsh ha diretto Me and My Gal, il suo film migliore, film eccentrico e spavaldo costruito intor­no al dubbio argomento che ‘la vita è bel­la, se non la provochi troppo’. Un sospe­so momento di grazia per Walsh e Tracy, entrambi colti allo sbocciare di un’ancora fresca maturità. […] È solo a tratti un gan­gster film, né può dirsi propriamente una commedia: piuttosto il ritratto di un quar­tiere, il sentimento dei vincoli umani che tengono insieme una comunità innocente, una lirica rappresentazione del Lower East Side e del suo allegro incolto mondo di portuali, commesse e negozianti. Walsh, in questa sua danza lunatica e festosa, è l’autentico poeta dell’immigrazione ame­ricana”.
(Paola Cristalli)

 

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