McCABE & MRS. MILLER
Sog.: dal romanzo McCabe di Edmund Naughton. Scen.: Robert Altman, Brian McKay. F.: Vilmos Zsigmond. M.: Lou Lombardo. Scgf.: Philip Thomas, Al Locatelli. Int.: Warren Beatty (John McCabe), Julie Christie (Constance Miller), René Auberjonois (Sheehan), John Schuck (Smalley), Michael Murphy (Sears), Corey Fischer (Mr. Elliott), Bert Remsen (Bart Coyle), Shelley Duvall (Ida Coyle), William Devane (l’avvocato), Keith Carradine (il cowboy). Prod.: David Foster, Mitchell Brower per David Foster Productions. DCP. D.: 120’. Col.
Scheda Film
Quello che John Wayne definì un film “corrotto” era invece la conferma di un autore che stava reinventando il cinema americano, cambiandone radicalmente il modo di raccontare e di dialogare con lo spettatore. A chi guardava ancora il cinema pensando al passato, Altman rispondeva: “Vieni a guardare dalla mia finestra: il modo in cui si vede da lì è il modo in cui io vedo le cose”. Era stato evidente per M.A.S.H. lo sarà ancor di più per McCabe & Mrs. Miller, un western quasi irriconoscibile per chi era abituato a vedervi il cinema americano per eccellenza e che invece si trovò sullo schermo una storia che non aveva niente a che vedere con gli eroi, con i buoni e i cattivi, con il mito e la leggenda. Forte del successo ottenuto con il film sui medici in Corea e dell’interesse di Warren Beatty (che all’inizio aveva pensato a Polanski per portare sullo schermo il romanzo di Edmund Naughton), Altman stravolge completamente storie e personaggi trasformando un pistolero audace, coraggioso e disinvolto in “uno sfortunato imbroglione che si esprime per frasi fatte e prevedibili banalità, […] procede per tentativi ed errori” (Benayoun). Per scrupolo di verità elimina l’abbigliamento tradizionale dei cowboy (McCabe non porta lo stetson ma una bombetta) e con Vilmos Zsigmond espone il negativo alla luce prima di svilupparlo per distruggere la nitidezza dell’immagine e ottenere quella patina antica e giallognola che avevano le fotografie dell’epoca. E sfrutta le avverse condizioni climatiche per trovare anche nel paesaggio, ora innevato, ora piovoso e fangoso, quel senso di sconfitta e di rinuncia che sarebbe diventata la chiave interpretativa di tutto. Ne uscì un film che non rispettava le regole (dialoghi che si accavallavano, azioni senza spiegazioni, primi piani di comparse filmate come fossero protagonisti), che non si preoccupava delle convenzioni (l’uso dello zoom per stabilire un rapporto più stretto tra il primo piano e lo sfondo) e che aveva tutte le caratteristiche del western per poter meglio demolire la mitologia americana sulle sorti magnifiche e progressive della libera iniziativa.
Paolo Mereghetti