L’AUBERGE ROUGE

Jean Epstein

Sog.: dal racconto omonimo (1831) di Honoré de Balzac. Scen.: Jean Epstein. F.: Raoul Aubourdier. Scgf.: Georges Quénu. Int.: Léon Mathot (Prosper Magnan), Jean-David Evremond (Jean-Frédéric Taillefer), Pierre Hot (il locandiere), Gina Manès (sua figlia), Clairette de Savoye (sua moglie), Marcelle Schmit (Victorine Taillefer), Jaque Christiany (André), Robert Tourneur (Herman), Mme. Delaunay (la strega), Thomy Bourdelle (l’olandese). Prod.: Louis Nalpas per Pathé Consortium Cinéma. 35mm. L.: 1650 m (l. orig.: 1835 m). D.: 72’ a 20 f/s. Bn

info_outline
T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Jean Epstein aveva solo ventitré anni quando scrisse il suo primo libro, La Poésie d’aujourd’hui, seguito da Bonjour, cinéma, entrambi pubblicati nel 1921. Nel gennaio 1923, a venticinque anni, iniziò a girare il suo secondo lungometraggio (sua prima regia solista), L’Auberge rouge; entro la fine dello stesso anno diresse anche Cœur fidèle, La Belle nivernaise e il documentario La Montagne infidèle (vedi capitolo 7). Il suo primo lungometraggio, il film biografico Pasteur, co-diretto da Jean Benoît-Lévy, fu proiettato nel maggio di quell’anno all’Esposizione di Fotografia, Ottica e Cinematografia di Torino, dove era uno dei due soli film di finzione francesi in concorso. I quotidiani e le riviste lo celebrarono come il cineasta-filosofo più importante della sua generazione, e a partire da dicembre 1923 Epstein girò la Francia tenendo conferenze basate sugli scritti del teorico cinematografico italiano Ricciotto Canudo. Come la maggior parte degli enfants terribles, in quel periodo doveva essere insopportabile, ma i superlativi erano giustificati.
Curiosamente, L’Auberge rouge rimane un’opera giovanile poco studiata, forse perché lo stesso Epstein, come tanti virtuosi pronti a criticare le loro prime opere, se ne dichiarò insoddisfatto subito dopo l’uscita. Guardandolo oggi, tuttavia, colpisce l’insistente attenzione del film per lo sguardo, insieme all’acutezza psicologica e alla comprensione decisamente matura del ritmo e del montaggio, soprattutto nella famosa sequenza della tempesta ma anche nelle scene della cena, in cui la macchina da presa gira intorno alla tavola mentre la rete della storia si stringe attorno a personaggi le cui vite saranno cambiate dalla rivelazione del narratore.
Fu lo stesso regista ad adattare il racconto di Balzac, apportando piccoli cambiamenti come l’introduzione di una donna amata interpretata da Gina Manès. In un’intervista rilasciata durante le riprese a “Cinémagazine” (23 marzo 1923), Epstein spiegò: “Ho voluto fare un film che si basasse non su una messa in scena scrupolosa, ma su un approfondito studio psicologico dei personaggi… Il mio dramma non sarà ‘esteriore’ e non cercherà di sedurre l’occhio, ma esclusivamente ‘interiore’; si prefigge soprattutto di conquistare i cuori degli spettatori”.

Jay Weissberg

Copia proveniente da