L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI
Scen., F., M.: Ermanno Olmi. Scgf.: Enrico Tovaglieri. Int.: Luigi Ornaghi (Batistì), Omar Brignoli (Minek), Francesca Moriggi (Batistina), Teresa Brescianini (vedova Runk), Carmelo Silva (don Carlo), Giuseppe Brignoli (nonno Anselmo), Antonio Ferrari (Tunì), Pierangelo Bertoli (Secondo), Lucia Pezzoli (Maddalena), Franco Pilenga (Stefano), Mario Brignoli (il padrone). Prod.: G.P.C. (Gruppo Produzione Cinema), RAI, Italnoleggio Cinematografico. DCP. D.: 186’. Col.
Scheda Film
La resurrezione della civiltà contadina in tre tempi. Cannes 1976, fuori concorso: Novecento di Bernardo Bertolucci, epopea sul fascismo agrario nelle terre emiliane, parlata in inglese. Cannes 1977, Palma d’Oro: Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani, apologo contemporaneo sui pastori sardi, parlato in sardo. Cannes 1978, Palma d’Oro: L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, affresco sui mezzadri bergamaschi di fine Ottocento, parlato nel dialetto locale. Sia il film dei Taviani che quello di Olmi sono nati grazie all’innovativa politica produttiva della Rai Tv. Secondo l’illustre critico Morando Morandini, L’albero degli zoccoli “è il più grande film italiano degli anni Settanta, e l’unico, forse, in cui si ritrovano i grandi temi virgiliani: labor, pietas, fatum”. Malgrado la giuria cannense, presieduta da Alan J. Pakula, gli abbia assegnato il massimo alloro all’unanimità – lo conferma il giurato Michel Ciment –, il capolavoro olmiano suscitò polemiche e divisioni. Ad esempio, Alberto Moravia si chiese: “Perché Olmi ha fatto di un animale (il cavallo) il solo personaggio razionale, cioè ribelle, del film? Per la buona e inconscia ragione che, in una situazione bloccata dal cattolicesimo controriformistico, come quella dell’ Albero degli zoccoli, soltanto gli animali possono essere così razionali da rivoltarsi”. Spiega Olmi: “Il padrone, allora, era padrone in senso assoluto. Mia nonna mi raccontò l’episodio del furto dell’albero, capitò esattamente nella cascina dove lei era bambina, a Treviglio. Erano tutti racconti che avevo udito da mia nonna, ma anche dalle persone che partecipavano ai filò [lavori di gruppo eseguiti la sera], le chiacchiere o di stalla o di sottoportico, racconti dove ognuno doveva trovare la propria morale e quindi elaborare la propria cultura”. Rispettando alla lettera le memorie famigliari, e rifacendosi inoltre alle emozioni suscitate dalla lettura in giovane età dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Olmi ha ricreato minuziosamente esteriorità e interiorità d’un universo scomparso. Il lavoro straordinario di questo one-man-band, che controlla luci, costumi, intonazioni, rumori, macchina da presa, natura e tutto quanto il resto, è stato documentato giorno per giorno sul set da Lella Lugli, la sua assistente, tramite un copione-bibbia a molteplici strati.
Lorenzo Codelli