LA SIXIÈME FACE DU PENTAGONE

Chris Marker

T. int.: The Sixth Face of the Pentagon. F.: François Reichenbach, Chris Marker, Christian Odasso, Tony Daval. M.: Carlos de los Llanos. Su.: Antoine Bonfanti. Prod.: Chris Marker, Catherine e Pierre Braunberger per SLON, France-Opéra Films, Film de la Pléiade. DCP. D.: 25’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Un anno dopo aver contribuito a fondare il gruppo SLON (Société de Lancement des Œuvres Nouvelles) e dopo il collettivo Loin du Viêt-nam, Chris Marker filma in 16mm il giorno di un’utopia: il 21 ottobre 1968 centomila giovani studenti e una minoranza di hippy che rifiutano la guerra del Vietnam, “rompono con la tradizione delle marce platoniche”, e trentacinquemila di loro entrano nel sacro spazio militare del Pentagono, illudendosi di “paralizzare per un istante la macchina da guerra”. A distanza di quarantacinque anni il mediometraggio realizzato da Marker con l’apporto di vari operatori (fra i quali François Reichenbach) condensa l’utopia di una generazione: quella dei giovani studenti americani che bruciano i fogli matricolari in un rito liberatorio (che costerà loro cinque anni di prigione) e protestano contro l’orrore di una guerra di cui hanno riconosciuto l’assurdità, allestendo piccoli spettacoli di mimi e canzoni, ascoltando gli oratori che li incitano a ribellarsi contro la guerra in un happening festoso e pacifico. Marker ritrae i volti di questi ragazzi che sognano di cambiare il mondo ma filma anche i lineamenti dei neonazisti statunitensi, che sembrano discendenti dei loro antesignani tedeschi. Riassumono il loro ‘pensiero’ in una scritta – “Gasate i Viet” – al cui proposito Marker commenta: “il loro argomento è lo stesso dei generali”. Nello stesso spazio, divenuto emblematico, ci sono anche altre Americhe e Marker riprende scene che definisce di “follia americana”: un prete che tuona da un pulpito improvvisato contro il comunismo ateo, con la scritta sottostante “fate prima la guerra e poi l’amore”, intanto “gli altoparlanti fanno dialettica e gli hippy esorcizzano”. Poi sfilano gli ex combattenti, alcuni della seconda guerra mondiale, altri, molto più giovani, già reduci dal Vietnam. Nel commento over Marker racconta anche come si sia sviluppata la rivolta e ricorda il caso dell’Università di Brooklyn, tradizionalmente tranquilla, dove è sciaguratamente intervenuta la polizia per reprimere pochi ribelli provocando un’insurrezione generale in loro difesa: “eterna stupidità dei poteri”. Ma anche i soldati, resi anonimi da elmi e uniformi, sono poco più che ragazzi e l’autore si sofferma su una fotografia in bianco e nero dove una giovane tende una rosa ai militi, poi la getta ai loro piedi dicendo “Nessuno di voi avrà il coraggio di raccogliere un fiore”. Poi il clou: una dozzina di manifestanti si accorge di un varco nel servizio d’ordine e ne approfitta, arrivando sulla soglia di una porta del Pentagono, dove però vengono malmenati dai militari. Uno dei manifestanti sanguina copiosamente dalla testa ma non si ferma: il primo piano del suo volto indignato diventerà anche una celebre inquadratura ripresa in Le Fond de l’air est rouge (1977).

Roberto Chiesi

Copia proveniente da