LA CONTESSA AZZURRA

Claudio Gora

Sog.: Alberto De Rossi. Scen.: Suso Cecchi d’Amico, Claudio Gora, Luigi Bazzoni. F.: Gábor Pogány. M.: Eraldo Da Roma. Scgf.: Aldo Tomassini. Mus.: Gino Negri. Int.: Amedeo Nazzari (Salvatore Acierno), Elly Davis [Eliana Merolla] (Teresa Curcio), Zsa Zsa Gabor (Loreley), Paolo Stoppa (Peppino Razzi), Irene Tunc (Jeanne d’Argent), Franca Marzi (donna Carmela), Mario Passante (don Ciccio), Pastor Serrado (Luigi), Angela Luce (donna Zenobia), Nicla Di Bruno (donna Serena). Prod.: Achille Lauro per Partenope Cinematografica. DCP. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

È forte la tentazione retrospettiva di leggere La contessa azzurra non solo come film nostalgico di un’epoca (il café chantant e il cinema muto), ma anche come autoritratto del regista. Amedeo Nazzari, showman di grandi ambizioni, autore e artista dentro un contenitore di spettacolo popolare, inventore del travelling e gran seduttore, è il regista che Gora avrebbe voluto essere. Alle prese con una situazione produttiva a dir poco avventurosa (vehicle per la fiamma dell’occasionale produttore Achille Lauro, Eliana Merolla, che intese l’intera operazione come una specie di cadeau per sé), Gora ne tira fuori un film sorprendente, evitando astutamente l’inerzia della protagonista (magistrale come ne oscura il volto nella scena finale, facendo entrare il treno in galleria…) e concentrandosi su una ricostruzione d’epoca. La contessa azzurra, oltre che un prezioso regesto dello spettacolo borghese di inizio secolo, è l’epilogo dei colorati film a episodi sul varietà che trionfavano nel decennio precedente, da Canzoni di mezzo secolo (1952) a Gran varietà (1954) di Domenico Paolella. Immerso in un unico flashback col flou di Gábor Pogány, è il più bell’omaggio al cinema italiano (anzi napoletano) delle origini, il nostro Silence est d’or o il nostro French Cancan (come scrisse Filippo Sacchi, che lo preferiva al film di Jean Renoir). Ma per un beffardo destino l’inizio e la fine del film, col cantiere che sventra il centro storico di Napoli, non possono non ricordare allo spettatore Le mani sulla città di Francesco Rosi, che tre anni dopo racconterà il volto oscuro della Napoli laurina.

Emiliano Morreale, Il cinema di Claudio Gora, Rubettino, Soveria Mannelli 2013

 La contessa azzurra fu un’avventura. […] Quello che io cercai di fare, siccome il film era ambientato in un’epoca che conosco abbastanza bene, fu di dare a Gora delle opportunità, delle scuse per fare dei pezzetti di cinema, per girare dei pezzi dove si vedeva che era un regista che sapeva fare il suo mestiere. Ed è vero, ci sono due tre pezzi nel film che sono bellissimi. Per l’ambiente del café chantant non dovetti faticare, c’è tanto materiale: i testi delle canzonette, tante memorie, quelle di Maldacea, di tanti…

Suso Cecchi d’Amico, in L’avventurosa storia del cinema italiano. Da Ladri di biciclette a La grande guerra, volume secondo, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2011

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per concessione di Surf Film