IRIS OCH LÖJTNANTSHJÄRTA
T. it.: Iris, fiore del Nord; T. ing.: Iris and the Lieutenant; Sog.: dal romanzo di Olle Hedberg; Scen.: Olle Hedberg, Alf Sjöberg; F.: Gösta Roosling; Mo.: Tage Holmberg; Scgf.: Arne Åkermark; Mu.: Lars-Erik Larsson; Su: Lennart Unnerstad, Gustav Halldin; Int.: Mai Zetterling (Iris Mattson), Alf Kjellin (Robert Motander), Åke Claesson (Oscar Motander), Holger Löwenadler (Baltzar Motander), Sting Järrel (Harald), Einar Axelsson (Frans), Gull Natorp (Signora Asp), Margareta Fahlén (Greta Motander), Ingrid Borthen (Mary Motander), Peter Lindgren (Svante), Magnus Kesster (Emil Gustell); Prod.: Harald Molander per A B Svensk Filmindustri; Pri. pro.: 16 dicembre 1946 35mm. L.: 2391 m. D.: 87’. Bn.
Scheda Film
Confido che Iris och löjtnanshjärta, sconosciuto alla maggior parte di noi, possa apparire a molti come un autentico capolavoro degli anni Quaranta, e provochi un generale senso di vergogna cinefila per non essere più noto. È un dramma di ricchi, con lo sguardo attento e partecipe rivolto ai più fragili in mezzo a tanti cuori di pietra: i bambini feriti delle classi “inferiori”. Evidentemente Miss Julie (1951) non era il primo studio socialmente consapevole sui rapporti tra servo e padrone: al centro di Iris och löjtnanshjärta c’è l’orgogliosascelta di una donna che torna a fare la cameriera e ha un figlio da un giovane ricco la cui famiglia non accetta la situazione e non sa offrire altro che soluzioni ciniche e freddi risarcimenti nanziari. A un certo punto sentiamo una frase, in seguito ripetuta: “… se Dio cessasse di esistere la nostra cultura crollerebbe come un castello di carte”.
Lo stile modernista di Alf Sjöberg (1903- 1980) è stato descritto come un conflitto traumatico e deflagrante di elementi disparati. La definizione è piuttosto calzante, poiché la sua opera è pervasa da un senso di sperimentazione (strane angolazioni, diagonali, immagini quasi astratte, che talvolta rasentano la pretenziosità ma senza mai incorrervi); e al contempo la fantastica gamma espressiva del regista non abbandona mai la carnalità delle persone, anche se tante di loro conducono una non-vita dominata dal denaro e dalla prigione autoimposta del possesso, con una stretta connessione, quasi onnipresente, tra claustrofobia e incubo. Ma il film ci mostra anche qualcosa che contrasta completamente con tutto ciò: il favoloso scintillio di un’immagine romantica sempre irraggiungibile. Se all’epoca il film poteva essere visto come una premonizione del futuro del cinema, questo è oggi vero più che mai.
Peter von Bagh