IL POSTO

Ermanno Olmi


Sc.: E. Olmi. F.: Lamberto Caimi. Scgf.: Ettore Lombardi. M.: Carla Colombo. Cast: Alessandro Panzeri (Domenico Cantoni), Loredana Detto (Antonietta Masetti, detta Magalì), Tullio Kezich (l’esaminatore psicotecnico), Mara Ravel (la collega di Domenico), Bice Melegari, Corrado Aprile. Prod.: Titanus.; 35mm. L.: 2600 m. D.: 95’ a 24 f/s. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

La necessità del restauro de Il Posto prende le mosse dal fatto che i materiali negativi originali (scena e colonna) sono affetti da sindorme dell’aceto. Si è reso così necessario un immediato intervento di preservazione, cercando di mantenere le straordinarie qualità fotografiche della pellicola originale. Allo stato attuale, sono stati lasciati intatti quei – pochi – difetti che il film possedeva sin dall’origine, come alcuni profondi graffi che si produssero già in fase di ripresa. È un’iniziazione: lui viene dal mondo contadino, perché abita ancora a Meda, nella cascina del padre, che pur facendo l’operaio vive ancora in campagna; davanti alla sua casa, dove soltanto pochi anni prima c’erano le stalle, ora cominciano a mettere i motorini e le Seicento; quindi, questo ragazzo che viene da Meda, che porta ancora dietro di sé l’odore delle stalle, va a Milano a fare l’impiegato, arriva nella grande città, la città della metropolitana e vede una bella ragazzina milanese … è un’iniziazione.

Ermanno Olmi

Attraverso la nebbiosa cornice del suo racconto Olmi attinge una cristallina chiarezza di visione, si traccia un esile ma sicuro sentiero attraverso il quale perviene alla piena rappresentazione di un mondo amorevolmente studiato. Il film procede per rapidi segni, esili pennellate che paiono poste quasi con sbadata attenzione, ma rispondono invece a una premeditata costruzione concettuale, a cui tuttavia non è estranea un’amorosa partecipazione del sentimento. La incantevole sorpresa del film – ma relativa per chi conosceva l’opera documentaristica di Olmi, quel suo costante ricercare, attraverso i grandi macchinismi industriali e le elaborate impalcature tecnicistiche, il cuore semplice dell’uomo – consiste nella naturalezza e, diremmo, nella felicità con cui i tratti lievi e sparsamente diffusi del disegno si compongono in un ritratto unitario; le notazioni infinite, quasi furtive, molte della quali paiono appartenere alla sfera di quella psicotecnica che il regista bonariamente satireggia, si rivelano elementi essenziali della composizione narrativa. Con simile procedimento nasce il grigio eroe del film, e acquista un’identità e un rilievo a misura che la sua individualità viene a contatto, e si scontra, con l’anonimo automatismo del mondo nel quale vuole inserirsi, ma dal quale in definitiva dovrà lasciarsi assorbire; sì che egli appare pienamente definito nel momento stesso in cui il suo appiattimento è diventato completo, ci si fa del tutto familiare e fratello proprio quando la sua collocazione in una casella minuscola dell’ingranaggio diviene ineluttabile.

«Bianco & Nero», n 9, 1961

 

Copia proveniente da

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Restaurato nel 2002 presso l’Immagine Ritrovata con la collaborazione di Goffredo Lombardo e Titanus