I cento cavalieri / Los cien caballeros / Die Hundert Ritter
Sog.: Vittorio Cottafavi, Giorgio Prosperi; Scen.: Vittorio Cottafavi, José Maria Otero, Giorgio Prosperi, Enrico Ribulsi, Jose Luis Guarner; F.: (Technicolor, Techniscope): Francisco Marin; Mo.: Maurizio Lucidi; Scgf.: Ramiro Gómez; Co.: Vittorio Rossi; Mu.: Antonio Pérez Olea; Su.: Domenico Curia; Int.: Mark Damon (Fernando Herrero), Antonella Lualdi (Sancha Ordoñez), Gastone Moschin (frate Carmelo), Wolfgang Preiss (Jeque), Barbara Frey (Laurencia), Rafael Alonso (Jaime Badanos), Hans Nielsen (Alfonso Ordoñez l’alcade), Arnoldo Foà (Don Gonzalo Herrero), Mario Feliciani (sceicco Alben Gabon), Manuel Gallardo (Halaf), Salvatore Furnari (capo dei briganti), Giorgio Ubaldi, Enrico Ribulsi (conte di Castiglia), Mirko Ellis (l’orbo), Manuel Arbò Clarin, Aldo Sambrell, Angel Ter; Prod.: Domiziana Internazionale Cinematografica (Roma)/Procusa Productores Cinematograficos Unidos Films (Madrid)/ International Germania Film (Colonia); Pri. pro.: 30 dicembre 1964. 35mm. L.: 3158 m. D.: 115’.
Scheda Film
Presentato a Cannes, al di fuori di ogni manifestazione ufficiale, davanti ad un pubblico di una dozzina di persone, essenzialmente composto da amici di Cottafavi (tra cui Freda e Pasolini), I cento cavalieri brillarono, come è giusto, di una luminosità superiore a quella di molti film in concorso. (…) Narrato alla maniera di una cronaca insieme spettacolare e ironica, il film si ripropone di descrivere, senza magniloquenza ma con uno spirito di autentica serietà, il meccanismo stesso del collaborazionismo e della Resistenza, precisamente in ciò che queste nozioni possono avere di universale: così le immagini possiedono con assoluta naturalezza il carattere di una favola esemplare. Quello che è appassionante nello stile di Cottafavi, e che ce lo rende prezioso, è la volontà che manifesta qui, in modo ancora più evidente rispetto all’eccellente Ercole alla conquista di Atlantide, di fare un cinema popolare e responsabile: la raffinatezza della forma, la bellezza plastica dei movimenti e dei colori, la felicità costante della narrazione non sono fini a se stessi, ma il veicolo perfettamente adeguato di una sorta di idea umanista che l’autore non perde mai di vista; è grazie a questa esigenza costantemente e felicemente alimentata che questo bellissimo film occupa un ruolo eccezionale, a mezza via tra cinema di intrattenimento e cinema impegnato: I cento cavalieri è dunque uno dei rari film di avventure storiche che senza errori può essere definito “moderno”. Basterebbe a offrirne la prova un elemento fondamentale: l’importanza che qui viene accordata alla parola, alle deliberazioni, agli scontri intellettuali. Per una volta, l’azione non significa esplosione di violenza gratuita che sacrifica unicamente alle esigenze del genere ma il risultato visibile di decisioni di ordine morale e politico: il film costruito molto consapevolmente sull’alternanza di lunghi dialoghi e di azioni deliberate che ne derivano. Una rimarchevole interpretazione (di Wolfgang Preiss, Arnoldo Foà, Antonella Lualdi, senza dimenticare il famoso nano-mascotte dell’autore) contribuisce all’equilibrio di quest’opera coraggiosa e riuscita: I cento cavalieri è senza dubbio, con Il taglio del bosco (girato per la televisione, con Gian Maria Volonté e autentici boscaioli, da una novella di Cassola), le opere più giuste e forti che Cottafavi abbia realizzato fino ad oggi.
Jean-André Fieschi, P.-S. À Cannes: Le cent cavaliers, “Cahiers du cinéma”, n. 180, luglio 1966