DIMANCHE À PÉKIN
Scen., F.: Chris Marker. M.: Francine Grubert. Mus.: Pierre Barbaud. Su.: Studios Marignan. Int.: Guilles Quéant (narratore). Prod.: Madeleine Casanova-Rodriguez per Pavox Films, Argos Films. DCP. D.: 18’. Col.
Scheda Film
Credo che Chris Marker abbia dovuto tener conto delle difficoltà di distribuzione di un film di più di venti minuti. Perlomeno ha saputo trasformare questa necessità in stile, al punto che il nostro rammarico cede alla riflessione. Il soggetto era così ampio che un documentario su di esso poteva essere soltanto o lunghissimo o breve. Così com’è, Dimanche à Pékin non ci lascia insoddisfatti, ma affascinati. Come Les Statues meurent aussi, film nel quale Chris Marker ha collaborato con il suo amico Alain Resnais […], Dimanche à Pékin mi sembra corrispondere a una concezione nuova del ‘documentario’. Questa parola, in questo caso troppo banale, serve solo a indicare l’origine della materia prima visiva. […] Il reportage che Chris Marker ci porta dalla Cina è un atto al tempo stesso di informazione, di poesia e di critica. Ma ciò che distingue questa impresa dalle altre che l’hanno preceduta con lo stesso intento sono i mezzi adottati. Di Dimanche à Pékin si può dire senza dubbio che è un film di montaggio, ma Chris Marker conferisce a questo termine generico un significato radicalmente nuovo. Il montaggio nel senso tradizionale si fonda sul supporto delle immagini e sul senso che deriva dal loro accostamento. Quale che sia la funzione del montaggio, i suoi poteri derivano dall’immagine e dalla sua metrica. È in un certo senso a due dimensioni sul piano dello schermo. Se suscita, inoltre, sentimenti o idee è per induzione, come si suol dire per una corrente indotta. Nei film di Chris Marker il montaggio è basato su tre elementi, le immagini, il rapporto tra di esse e quello con il commento, concepito come un’esplicitazione dell’immagine e come elemento 247 costitutivo del film, che non potrebbe essere definito senza queste tre coordinate. Di Dimanche à Pékin sarebbe anche giusto dire che si tratta sia di un’opera essenzialmente letteraria sia di un’opera di natura cinematografica; ma l’una e l’altra cosa potrebbero anche essere false. Abbiamo ascoltato, certamente, altri commenti brillanti, profondi e poetici […] ma nessuno, credo, così dialetticamente legato alle immagini. Esposte e immobilizzate in un album, quelle che ci vengono qui proposte sarebbero talvolta molto belle, talvolta di una notevole banalità, ma il testo incide sempre su di esse come l’acciaio della rotellina sulla selce per farne scaturire la scintilla.
André Bazin, ‘Sur les routes de l’URSS’ et ‘Dimanche à Pékin’, “France-Observateur”, 27 giugno 1957