David Golder

Julien Duvivier

T. it.: La beffa della vita. Sog.: dal romanzo omonimo di Irène Némirovsky. Scen.: Julien Duvivier. F.: Georges Périnal, Armand Thirard. Scgf.: Lazare Meerson. Mu.: Walter Goehr. Su.: Hermann Storr. Int.: Harry Baur (David Golder), Paule Andral (Gloria), Jackie Monnier (Joyce), Jean Bradin (principe Alec), Gaston Jacquet (Graf Hoyos), Jean Coquelin (Fischel), Camille Bert (Tübingen), Jacques Grétillat (Marcus), Paul Franceschi (Soifer), Léon Arvel (un medico), Charles Dorat (un giovane emigrante), Nicole Yoghi (un infermiere). Prod.: Les Films Marcel Vandal et Charles Delac. Pri. pro.: 6 marzo 1931 35mm. D.: 86’. Bn. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il primo sonoro di Julien Duvivier trae ispi­razione dal primo romanzo (un successo immediato) di Irène Némirovsky, figlia di un banchiere ucraino emigrata con la famiglia in Francia, dove fu arrestata dai nazisti e deportata ad Auschwitz. Duvivier riesce a oggettivare mirabilmente la veri­tà personale osservata e descritta dal ro­manzo: i critici dell’epoca giudicarono che David Golder conferisse una dimensione balzachiana alla gamma espressiva di Du­vivier. La sua produzione di film muti era già notevole, ma l’uso creativo del suono sembrò quasi raddoppiare la sua maestria. L’algida atmosfera della crisi finanziaria permea ogni immagine, soprattutto il vol­to di Golder, interpretato dal massiccio Harry Baur, grave e possente, “senza una traccia di falsità”. Golder parla di sé con brutale franchezza: “Se non mollo gli af­fari sono un uomo morto”. Lo è già. La cri­si è trattata esplicitamente solo in un paio di brevi sequenze vertiginose – simili alle immagini di L’Argent di Marcel L’Herbier – ma di fatto ogni inquadratura ne è per­vasa. Il gelido distacco di Golder di fron­te alla catastrofe finanziaria di un amico (che si suicida sotto i suoi occhi) riflette la tragedia della sua vita: un matrimonio in crisi e senza amore. In compenso Gol­der ha una figlia che ama teneramente, fino alla tetra rivelazione che la ragazza è figlia di un altro. Un’illusione di meno, e Duvivier con le illusioni ci sa sempre fare, creando immagini romantiche e sfarzose come contrappunto ironico a ciò che real­mente accade e lasciando intendere che le ricchezze esibite sono rubate. David Golder è un’affascinante prefigu­razione della futura grandezza di Duvi­vier e del suo talento per l’osservazione distaccata e obiettiva. Come ha scritto Paul Vecchiali: “La crudeltà di questo universo è resa con un’assenza completa di indulgenza. E la solennità con cui viene descritta rende poetico il film. Un capola­voro inalterabile dal tempo”. Aggiunge Pierre Leprohon: “Secondo al­cuni melodrammatico, il film si dimostra all’altezza del suo interprete, solido, pos­sente, senza mai rifiutarsi soluzioni a ef­fetto ma spesso capace di grandezza, in particolare dopo la firma del contratto con i sovietici e con la morte di Golder”. Cieca quanto il denaro, la grande livella sorpren­de l’onnipotente Golder, che muore su un transatlantico dopo un viaggio d’affari in Unione Sovietica, apparentemente sma­nioso di tornare alla ‘normalità’ capita­lista che il suo mondo rappresenta così aspramente.

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