ČETVERO

Vasilij Ordynskij

Scen.: Daniil Chrabrovickij. F.: Vladimir Monachov. Scgf.: Aleksandr Žarenov. Mus.: Andrej Ėšpai. Int.: Vladimir Gribkov (Vikentij Karpovič), Margarita Anastas’eva (Alla Sergeevna), Michail Majorov (Andrej Il’ič), Vladimir Gusev (Aliosha Knjazev), Nikolaj Timofeev (Basmanov), Daniil Netrebin (Krylatkin), Boris Terent’ev (Sarancev), Žanna Suchopol’skaja (Lëlja), Lidija Sucharevskaja (Karpušina), Valentina Beljaeva (Chor’kova). Prod.: Mosfilm. 35mm. D.: 91’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Vasilij Ordynskij può essere considerato l’unico rappresentante del cinema sovietico ‘dell’inquietudine morale’ degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. Fu elogiato (specie grazie al suo primo film, Čelovek rodilsja [È nato un uomo], 1956), per il realismo con cui sapeva ritrarre i diversi strati sociali. Attento e sensibile osservatore della realtà, aveva però a cuore più le questioni esistenziali che quelle sociali. Forse è per questo che Četvero fu girato a colori: scelta quasi scandalosa per un film sovietico ‘serio’ degli anni Cinquanta, da cui ci si aspettava un rigore documentario. Ma questi non sono i colori festosi del primo Disgelo, e sono volutamente irritanti nella loro irrilevanza per la storia angosciante che viene narrata.
La scena d’apertura può spiegare qualcosa del cinema di Ordynskij. Un piano sequenza ci mostra una stanza: la macchina da presa passa in rassegna pesanti tende di velluto, una scrivania coperta di libri e manoscritti, foto autografate di famosi scienziati del passato, il ritratto di una donna in un abito fin de siècle, un bicchiere di tè in un portabicchiere d’argento, un divano con tanti cuscini sul quale riposa un pastore tedesco. Alla fine del piano sequenza sappiamo tutto del vecchio, conosciamo le sue abitudini, il suo passato, e lo vediamo per la prima e l’ultima volta: seduto in poltrona, morto. Il film narra dei quattro allievi del professore morto e della loro strenua ricerca di una cura per un’epidemia. La vera trama però è la storia di quattro falliti cui la scienza offre l’occasione di non sentirsi completamente inutili. Le trame dei film sovietici, buone o cattive che siano, sono di norma coerentissime. Ma Ordynskij non crede né nella logica né nel caso, e le linee narrative convenzionali nei suoi film giungono raramente a una risoluzione. Quando uno dei personaggi si pratica un’iniezione mortale nel disperato tentativo di fare colpo su una ragazza che lo disprezza, non dimostra nulla: rimane uno scienziato mediocre, un tecnico ingenuo e ambizioso. La ragazza sta per comprare il giornale che reca il necrologio del giovane, ma poi arriva l’autobus, lei scompare nella folla moscovita, e una scena melodrammatica si trasforma in documentario.

Peter Bagrov

Copia proveniente da