Charade

Stanley Donen

T. it: Sciarada; Sog.: dal racconto The Unsuspecting Wife di Peter Stone e Marc Behm; Scen.: Peter Stone; F.: Charles Lang; Mo.: Jim Clark; Scgf.: Jean d’Eaubonne; Co.: Herbert de Givenchy; Mu.: Henry Mancini; Int.: Cary Grant (Peter Joshua), Audrey Hepburn (Regina “Reggie” Lambert), Walter Matthau (Hamilton Bartholomew), James Coburn (Tex Penthollow), George Kennedy (Herman Scobie), Ned Glass (Leopold W. Gideon), Dominique Minot (Sylvia Gaudet), Jacques Marin (Isp. Edouard Grandpierre), Paul Bonifas (Felix), Thomas Chelimsky (Jean-Louis Gaudet); Prod.: Stanley Donen per Stanley Donen Production/Universal Pictures; Pri. pro.: 5 dicembre 1963. 35mm. D.: 114’. Col. 

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Sciarada’ significa, in senso esteso, problema di complessa struttura e difficile soluzione; in senso proprio, è un gioco enigmistico che consiste nell’indovinare nomi nascosti dentro altri nomi. Qui il nome che scivola, sguscia e si rende irrintracciabile, nell’intreccio giallo quanto in quello romantico, è il vero nome di Cary Grant. Un uomo sbuca dal nulla e si rivolge ad Audrey Hepburn, stagliato contro un panorama di nevi svizzere: “Lei è sposata?” “Sto per divorziare” “Se è per me, non lo faccia”. Quest’uomo non ha ancora dichiarato alla sua interlocutrice la propria prima (e falsa) identità, ma sono trent’anni di vita hollywoodiana che lo autorizzano a tanta seduttiva arroganza. Hollywood celebra la propria tradizione, nel luogo stesso in cui la tritura. Come dai primi anni Sessanta accadrà sempre più spesso, Sciarada assembla e dissolve generi diversi: l’intrigo allinea cadaveri, ma la sola vera suspense è quella romantica, mentre una traccia musical affiora nella legatura coreografica di inseguimenti e coups de théâtre. Il gioco narrativo è un’iperbole hitchcockiana, per cui se già al Cary Grant di Intrigo internazionale toccava convivere con due identità, qui ne ha a disposizione addirittura quattro; mentre la ‘caccia al ladro’ di Audrey Hepburn si trasforma in una tenace caccia a un marito, chiunque egli sia. Chiunque? La fragile vedova, che già ha dato cenni d’una certa intraprendenza sessuale, si dirà disposta ad amare tutte e quattro le identità del suo partner; ma in nessun altro film il personaggio è stato maschera così trasparente rispetto alla persona che offre il suo corpo divistico; semplicemente, questa donna è disposta ad amare chiunque, purché sia Cary Grant. Incastro di omicidi senza vero peso, girandola delittuosa attorno al risibile mcguffin dei tre francobolli, Sciarada è un gioco che nessuno è autorizzato a prendere sul serio; certo non quando a spianare una pistola è Walter Matthau, già responsabile di alcune scene irresistibili per humour sordido. Quel che si impone, nel tessuto del film, è la caleidoscopia sartoriale, è la parata cromatica organizzata da Donen e autenticata da una Hepburn ormai autoironica immagine-Vogue, è una carezzevole Parigi-dal-vero dove, guidati da una cinepresa mobile e da un montaggio tagliente, si passeggia sul lungosenna (en passant ricordando Gene Kelly), si mangia la zuppa alle vecchie Halles e si regolano i conti tra le colonne di Palais Royal. Nello stesso tessuto spiccano dissonanze interessanti, in sintonia con le asprezze d’un cinema americano alla conquista della violenza: James Coburn, a quest’epoca già villain per Siegel e Sturges, percorre il film con elasticità da ballerino e finisce asfissiato nel cellophane. A pochi minuti e pochi metri di distanza, Cary Grant si fa una doccia in giacca e cravatta. Attenzione, perché in questa scena s’agganciano divertimento malizioso e profondità teorica: questa è, per Cary Grant, la perfetta performance del suo essere uno e indissolubile dal proprio abito. E Stanley Donen, che con Grant aveva già splendidamente familiarizzato in Indiscreto, governa qui la prova estrema della tecnica comica e dell’incorruttibile charme del più grande attore dell’intero cinema americano (“e senza gara”, come scriveva Luc Moullet).