CANTANDO A HOLLYWOOD: INCONTRO CON STANLEY DONEN
Stanley Donen è uno dei grandi autori classici del cinema americano. Stanley Donen è uno dei grandi autori moderni del cinema americano. Pensiamoci bene, non potremmo dirlo di molti. Nasce nel 1924 in South Carolina, ma a quindici anni è già a Broadway, ad ammirare Fred Astaire. Fa il ragazzo del coro e l’assistente coreografo, Gene Kelly lo nota e lo vuole con sé a Hollywood. È l’età dell’oro, prende forma quel che poi la storia chiamerà cinema classico, ma che allora è continua invenzione, esplosione, energia. Donen firma, tra l’altro, la coreografia di Due marinai e una ragazza, squisita stravaganza dove Gene Kelly balla col topo cartoon. Il grande salto arriva con Un giorno a New York, ancora marinai, ancora ragazze, a piede libero in una New York che il musical non aveva mai ripreso dal vero. Realismo? Ma per carità. Avanguardia, invece, pura astrazione: sagome bianche contro l’azzurro del cielo e il profilo d’acciaio dei grattacieli. Con Kelly, poi, un sodalizio che s’allunga ancora per due film, tra trionfi e tormento: “Codirigere un film? Sostituite la parola battaglia a coregia e saprete cosa significa. La coregia è un incubo. Fare qualcosa insieme è un incubo”: ma scontrandosi e cantando e sguazzando in the rain quei due firmano l’apoteosi del genere (e Moses Supposes, aggiungerebbe Donen, è “il miglior tap number che sia mai stato fatto in un film”). Sino alla fine degli anni Cinquanta, i musical di Donen sono uccelli del Paradiso: quando si disegnano delicati e cangianti intorno al corpo di Audrey Hepburn (Funny Face), ma anche quando assumono una squillante ruvidezza working class (Il gioco del pigiama) o diventano fantasmagorico country di fondazione (Sette spose per sette fratelli).
Eppure si direbbe che per Donen il meglio deve ancora arrivare. Negli anni Sessanta, mentre gli studios collassano, lui si conquista una nuova libertà. Dirige due commedie sofisticate in forma di vivaci pastiche, Sciarada e Arabesque, di cui Tavernier e Coursodon scrivono che “con le loro inquadrature stravaganti, i primi piani di oggetti, le sovrimpressioni e i colori artificiali, s’apparentano al fumetto, alla fotografia di moda e all’avanguardia contemporanea” (tutto vero, poi accade che Sciarada è un film splendido e Arabesque no, e la colpa non è solo di Sophia Loren). Ma è con Due per la strada che Donen firma il suo capolavoro più personale. A una guerra dei sessi for mature lovers aveva già dedicato due commedie dal perdurante fascino, Indiscreto e L’erba del vicino è sempre più verde, ma – diciamo – di alta routine. Due per la strada è invece uno straordinario lavoro sul tempo, il matrimonio, l’amore. Alla circolarità ‘classica’ di Un giorno a New York, la vita in un giorno tra un’alba e un addio, si oppone un tempo frantumato, esistenziale, indecidibile. “Godard ha detto che il cinema è verità ventiquattro fotogrammi al secondo. Io penso che sia menzogna ventiquattro fotogrammi al secondo”. Grazie per ciascuna delle sue bugie, Mr. Donen.
Sezione a cura di Guy Borlée e Peter von Bagh
Testi di Paola Cristalli