Funny Face

Stanley Donen

T. it.: Cenerentola a Parigi; Sog.: dalla commedia musicale Wedding Day di Leonard Gershe; Scen.: Leonard Gershe; F.: Ray June; Mo.: Frank Bracht; Scgf.: Hal Pereira, George W. Davis; Co.: Edith Head, Hubert de Givenchy; Mu.: George Gershwin, Ira Gershwin, in collab. con Adolph Deutsch, Roger Edens; Direz. mu.: Adolph Deutsch; Orchestr.: Conrad Salinger, Van Cleave, Alexander Courage; Coreogr.: Eugene Loring, Fred Astaire; Eff. Spec.: John P. Fulton; Int.: Audrey Hepburn (Jo Stockton), Fred Astaire (Dick Avery), Kay Thompson (Maggie Prescott), Michel Auclair (prof. Emile Flostre), Robert Flemyng (Paul Duval), Dovima (Marion), Virginia Gibson (Babs), Sue England (Laura), Ruta Lee (Lettie), Jean Del Val (parrucchiere), Iphigenie Castiglioni (Armande), Alex Gerry (Dovitch), Suzy Parker (prima ballerina), Sunny Harnett (primo ballerino), Don Powell, Carole Eastman (ballerini); Prod.: Roger Edens per Paramount. 35mm. D.: 103’. Col.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“If you can cook/the way you look/ I’ll cross the ocean just to have you by my side…”: irresistibile. Funny Face è una produzione complicata, nasce da negoziazioni non facili tra MGM (che aveva Donen), Warner (che aveva le canzoni) e Paramount (che aveva Hepburn e Astaire), ma quando infine i nodi contrattuali hollywoodiani si sciolgono, quel che ne risulta è un capolavoro. Audrey Hepburn, prima nei suoi piatti vestitini grigi da libraia intellettuale del Village, poi nella sinuosa haute couture Givenchy, è un segno grafico che attraversa il film con iperurania eleganza.
Come altre volte (nell’incipit di Sabrina, in Arianna, in Sciarada, in Come rubare un milione di dollari), Parigi è la città che l’avvolge come un morbido scialle di seta. Ci si prende gioco, con monellesca grana grossa americana, dell’esistenzialismo (qui empaticalismo) e di Sartre: ma pazienza, se in cambio abbiamo Audrey-Musidora che, tutta in nero, danza filiformi geometrie sui tavoli d’una cave naturalmente fumosa. Fuori, Parigi (Bonjour, Paris!) ci riempie sguardo e polmoni con un plein-air che Donen fa scivolare dal turistico all’onirico, e la fantasia romantica ci trascina in un turbine di sequenze musicali intimiste e gershwiniane, una più bella dell’altra: i numeri Let’s kiss and make-up, He loves and she loves e Funny Face (“allegoria dell’arte fotografica e del colpo di fulmine”, Gerard Légrand) restano tra le punte somme dell’intera storia del musical. Il fotografo Fred Astaire s’ispira a Richard Avedon (che fu consulente al colore del film), la caustica fashion editor Kay Thompson secondo alcuni citava Diane Vreeland di Vogue, secondo altri Carmel Snow di Harper’s. Hepburn (questo è l’unico film in cui canti con la sua voce) come sempre s’ispira solo a se stessa: e Stanley Donen è, con Wilder ed Edwards, il regista che meglio ha saputo costruire mondi intorno alla sua sunny funny face.