Il discorso finale
Per concludere: il finale. Mi sembrava la fine più logica per questa storia. Qualcuno ha scritto che è in contrasto con il personaggio del barbiere. E con ciò? Cosa c’è di male ad aver deciso di concludere la mia commedia con una nota che riflette, in modo onesto e realistico, la situazione in cui viviamo
facendo appello a un mondo migliore?
(Charlie Chaplin, 1940)
Il discorso tenuto nel finale del film dal barbiere sosia del dittatore Hynkel, è ancor oggi riconosciuto come uno dei più potenti inni alla democrazia e alla pace mai pronunciati. Fu però anche un grande punto di svolta nella carriera di Chaplin: per la prima volta infatti il più noto interprete del cinema muto mondiale scandiva delle parole attraverso la propria voce (in Tempi moderni aveva in effetti parlato, ma pronunciando parole in un incomprensibile grammelot).
“Dovevo farlo”, ha spiegato Chaplin. “Semplicemente dovevo farlo. Non c’era altro modo in cui potessi esprimere in modo adeguato quanto ci tenessi. Era arrivata l’ora di smettere di scherzare. Avevano avuto le loro risate. Ed era stato molto divertente, no? Ma ora dovevano ascoltare. Volevo che smettessero di essere così dannatamente contenti.”
(New York World Telegraph, 18 ottobre 1940)
Così, dopo mesi di riscrittura, Chaplin terminò la stesura del discorso ed infine lo recitò, dando così voce all’uomo comune in grado finalmente di lanciare il proprio grido contro la guerra e contro ogni forma di totalitarismo.
In seguito, più volte Chaplin fu accusato da ogni parte per il sentimentalismo e la genericità delle parole che nel finale del Grande dittatore volle pronunciare, tuttavia ad oggi restano innegabili quantomeno la forza e l’incisività del suo appello all’umanità.
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