29/06/2019

Conversazione con Francis Ford Coppola

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“La bellezza, l’originalità e lo stupore sono sempre qualcosa di penetrante. Sono sicuro – anzi, lo so! – che Francis Ford Coppola, un uomo così lontano, così diverso, sicuramente mi ha influenzato”: a rifletterci con maggiore freddezza, le parole di Marco Bellocchio non suonano affatto scontate nella sala gremita del teatro Manzoni di Bologna. La presenza di Francis Ford Coppola, ospite d’onore della trentatreesima edizione del Cinema Ritrovato, conduce inevitabilmente a un brusco cambio d’atmosfera all’interno della città tutta e se il festival conserva i tratti di un evento che ha sempre (consapevolmente) accantonato la dimensione glamour in favore dell’incontro, per Francis Ford Coppola non sembra voler fare eccezione.

Non una masterclass, ma una conversazione “da studente a studente”, dove anche la calorosa stretta di mano tra il regista italo-americano e Marco Bellocchio, qui in veste di presidente della Cineteca di Bologna, assume un altro significato. Nessun red carpet, del resto, può restituire il conflitto di emozioni che suscita l’arrivo di Coppola: il fermento e l’eccitazione nei confronti di un regista che resta colonna portante della New Hollywood si scontrano con un autentico stupore bambino. Francis Ford Coppola non ha alcun interesse a mettersi su un piedistallo, non è qui per tenere una “lezione”, non sfila, né ammicca ai flash: il protagonista non è lui, ma l’amore viscerale per il cinema, che sembra voler condividere al di là della celebrità e, soprattutto, di ogni rituale. 

“Il cinema è vecchio solo di centoventi anni. Recentemente stavo guardando L’albero degli zoccoli di Olmi e sono rimasto sbalordito da quanto è bello! Il cinema è troppo giovane per avere maestri: anche se ho ottant’anni mi ritengo uno studente di cinema, perché c’è ancora tantissimo da imparare. Mi rivolgo agli studenti che ci sono tra voi: voglio parlarvi da studente per capire cosa possiamo apprendere insieme di questo nuovo medium”, è così che Francis Ford Coppola, suo malgrado, impartisce una preziosissima lezione alla platea: nonostante i traguardi raggiunti, la ricerca può e non deve fermarsi. Le domande da rivolgere a noi stessi, forse le uniche domande che importino davvero, sono semplici e disarmanti: “ora che il cinema ha compiuto questo ulteriore passo e che è diventato un medium digitale, cosa significa per il futuro? Cosa può fare il cinema in quest’esistenza digitale che non era possibile quando era un medium esclusivamente meccanico? Quali nuovi aspetti implica? Che tipo di film faranno i vostri pronipoti?”

Francis Ford Coppola non si è mai adagiato nei panni di nume tutelare di Hollywood e la sua mente non vuole abbandonarsi a paternalismi vari. Lo spirito rivoluzionario, la ricerca e la sperimentazione estetica e produttiva che diedero vita alla New Hollywood in modi diversi e peculiari persistono fieri ancora oggi: “Sono nato nel 1939, la mia generazione si è trovata nel bel mezzo di due tendenze molto forti: c’era il cinema hollywoodiano, una tradizione che risale al tempo in cui il cinema americano si è spostato nella California del Sud. Io andavo al cinema con mio fratello, con la mia famiglia, ed eravamo tutti incredibilmente impressionati da come questi film venivano realizzati. C’erano grandi registi come William Wyler, King Vidor, Billy Wilder, John Huston, George Stevens: hanno tutti consolidato una grande tradizione del cinema hollywoodiano, realizzando tanti film meravigliosi. Tuttavia, cominciavo anche a conoscere un nuovo tipo di cinema, quello che arrivava dall’Europa e dal Giappone. Si trattava di film molto diversi da quelli americani, erano più personali, maggiormente incentrati su questioni sociali, in particolare quelli italiani: non bastano le dita delle mani e dei piedi per contare tutti i grandi registi italiani. Fellini, Rossellini, Antonioni, Monicelli, Germi, Bertolucci, Bellocchio: ce ne sono almeno quaranta! Sento che il mio rapporto con il cinema italiano è iniziato quando ho capito che i film potevano essere ispirati non soltanto dalla tradizione americana, ma da una tradizione diversa e nuovissima.”

Il palco gli sta stretto: il suo intento è conversare. Incalza a tal punto da invitare gli studenti a porgergli delle domande e il teatro, dopo qualche attimo di timidezza, si trasforma in una vera e propria agorà, in cui il regista invita addirittura i più giovani ad abbandonare il microfono per parlargli direttamente, incuranti del resto degli astanti. “I tuoi amici, i tuoi colleghi, le persone con cui siedi e parli dei tuoi film, sono loro che possono aiutarti” –  non i soldi, non i mezzi più costosi – “puoi realizzare film bellissimi solo con un iPhone, ma parlane con i tuoi amici, con coloro che condividono i tuoi sogni. Non preoccuparti del resto. Non so più cosa dire su quest’industria che continua a offrire al pubblico roba così scadente: dai al pubblico qualcosa di valido, attualmente non ce l’hanno.” Una folla di giovanissimi si schiera sotto al palco e il resto, gradualmente, viene escluso. Coppola comincia a rispondere alle domande con moniti seri e mordaci: “Non pensare a motivi che ti impediscono di farlo: fallo!”, “Non essere timida, urla le tue domande e le tue idee!”, “Quando fai un film e ne sei il regista lo fai con una crew, tutte le persone che ne faranno parte penseranno che possono fare quel film meglio di te, ma loro non potranno mai realizzare il tuo film. Ignorali e continua con le tue idee!”

Se Coppola riesce in meno di due ore a rivoluzionare il concetto stesso di masterclass,  è in conferenza stampa che si lascerà maggiormente andare a dissertazioni circa il proprio lavoro e all’esclusiva presentazione del famigerato final cut di Apocalypse Now. “Quando Harvey Weinstein – che non dovremmo nemmeno considerare vivo ma, di fatto, esiste – fece uscire Apocalypse Now, il film ebbe un grande successo e ne rimasi particolarmente sorpreso. Apocalypse Now Redux del 2001 non deve essere considerata come la versione definitiva, ma soltanto la versione lunga, con tutto il materiale di scarto incluso. Quando hanno espresso interesse nel proiettarlo al Tribeca Film Festival, ho pensato che la versione corta fosse troppo corta e che la versione lunga fosse davvero troppo lunga, così ho provato a prendere una decisione che rispettasse il tema del film. Come si può servire al meglio il filo conduttore del film? È un esercizio che pratico per ogni lavoro: cerco sempre di tenere a mente una o due parole chiave che descrivano bene di cosa parli il film. Nel caso de Il padrino il tema era la successione, La conversazione è incentrato sulla privacy, il tema di Apocalypse Now è la moralità. Quando ho realizzato questa versione per il Tribeca hanno detto che avevano bisogno di un nome, così ho deciso di chiamarla Final Cut, perché credo sia la versione migliore che potessi realizzare.”

C’è tempo di parlare dell’importanza del restauro, della preservazione, ma sempre con uno sguardo aperto verso il futuro che, Francis Ford Coppola non lo ribadirà mai abbastanza, è nelle mani dei giovani. “Nella mia carriera ho sempre scelto di cambiare, ho sempre cercato di fare film con stili diversi” ed è soprattutto in virtù di questo motto che il regista si è preso una pausa dai film “tradizionali” per dedicarsi a un progetto di live cinema, ideato a stretto contatto con gli studenti dell’Oklahoma City Community College e dell’UCLA School of Theater. 

L’eccitazione palpabile di una città devota ormai da anni allo spirito del Cinema Ritrovato e una piazza che non basta a ospitare tutti gli spettatori accorsi per guardare la nuova versione di Apocalypse Now: il clamore naturale per la presenza di un autentico gigante di Hollywood si scontra inevitabilmente con la classe e con la leggerezza modesta di un uomo che non ha mai smesso di mettersi in discussione e che, a ottant’anni, risulta uno dei registi più giovani che si possa incontrare.

Report di Alessandro Criscitiello
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.