TROPICI

Gianni Amico

Scen.: Giorgio Pelloni. Scen.: Francesco Tullio Altan, Gianni Amico, Giorgio Pelloni. F.: Giorgio Pelloni, José Antonio Ventura. M.: Roberto Perpignani. Int.: Joel Barcelos (Miguel), Janira Santiago (Maria), Graciete Campos (Graciele), Batista Campos (Batista), Antonio Pitanga (il mulatto), Roque Arnajo (Julio), Maria Euridice (se stessa), Giorgio Poppi (il dottore). Prod.: Gianni Barcelloni Corte per B.B.G. Cinematografica, RAI Radiotelevisione Italiana. DCP. D.: 82’.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Nel film c’è un’idea generale e cioè che il sottosviluppo è tante cose, ma è soprattutto il sottosviluppo della coscienza. Poi, da un lato c’è una storia, una storia tipica che permette di seguire una famiglia brasiliana attraverso tutto il paese mentre si incontra con vari stadi del sottosviluppo. È la storia di un gruppo di persone che passano dalla schiavitù al capitalismo internazionale. Dall’altra parte ci sono gli interventi documentaristici che mi sembrano altrettanto importanti perché danno le ragioni oggettive, storiche, economiche e politiche della storia che stiamo seguendo […]. C’è sempre un rapporto dialettico tra documentario e storia.

Gianni Amico, Tropici, intervista di Adriano Aprà e Piero Spila, “Cinema e Film”, n. 7-8, inverno-primavera 1969

Tropici comincia prendendo tempo, la durata delle inquadrature accordata all’insostenibile lentezza dei gesti, dei passi, degli spostamenti, degli sguardi; da un lato all’altro dell’inquadratura come da un piano a un altro, un’eternità che non è per niente serena, feroce, piuttosto. […] Tutto è filmato da lontano, come se la macchina da presa non facesse parte dell’avventura né del suo scenario, come se il cinema fosse di troppo nel dramma fin dall’inizio, come se proprio questo dramma si opponesse a ogni espressione; come se niente lo potesse tradurre, né frasi né immagini, come se esistesse e si sviluppasse da così tanto tempo e così irrimediabilmente da porlo al di là o comunque a margine di qualsiasi possibile rappresentazione. Non si tratta solo di pudore o consapevolezza dell’incongruità dell’azione di filmare qualcosa a cui il cinema comunque non può porre rimedio; il fatto che il cineasta imponga a se stesso e allo spettatore una simile distanza non deriva solo da una scelta morale, da un’onesta riservatezza: in qualche maniera, neorosselliniana senza dubbio, questa condizione morale implica l’adozione esclusiva e l’impiego di un cinema di intervento minimo: le cose sono là, lasciamole venire al cinema. […] Il proposito di Gianni Amico acquista quindi un significato preciso: non descrivere, ma lasciando a una certa realtà brasiliana il significato e il posto che essa stessa si dà, stupirsi che semplicemente non sia vista. Dimensione critica che fa anche di Tropici, sebbene non secondo i percorsi abituali, un film di lotta.

Jean-Louis Comolli, “Cahiers du cinéma”, n. 203, agosto 1968

Copia proveniente da

Restaurato nel 2024 da RAI Teche in collaborazione con RAI Cultura ed Educational, Fuori orario. Cose (mai) viste, CSC – Cineteca Nazionale presso il laboratorio Centro Servizi Salario 1 – CER, a partire da una copia 35mm