SPERIAMO CHE SIA FEMMINA
Sog.: Tullio Pinelli. Scen.: Mario Monicelli, Suso Cecchi d’Amico, Tullio Pinelli, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi. F.: Camillo Bazzoni. M.: Ruggero Mastroianni. Scgf.: Enrico Fiorentini. Mus.: Nicola Piovani. Int.: Liv Ullmann (Elena), Catherine Deneuve (Claude), Philippe Noiret (Leonardo), Giuliana De Sio (Franca), Stefania Sandrelli (Lolli), Bernard Blier (lo zio), Giuliano Gemma (Nardoni), Athina Cenci (Fosca), Paolo Hendel (Giovannini), Lucrezia Lante Della Rovere (Malvina). Prod.: Giovanni Di Clemente per Clemi Cinematografica, Producteurs Associés. DCP. Col.
Scheda Film
Dal punto di vista creativo, è la rivincita della terza età. Si sono messi in cinque a scrivere Speriamo che sia femmina, partendo da un soggetto del torinese Tullio Pinelli. Pur cercando di non essere indiscreti perché tra loro c’è una donna (Suso Cecchi d’Amico, quarant’anni di cinema), sembra lecito informare che la loro età media è più vicina ai settanta che ai sessanta anni. È come se – stanchi, irritati di sentir dire che il cinema italiano è in crisi d’idee; che la vecchia generazione è spompata, esaurita, finita; che bisogna far largo ai giovani – si fossero detti: ora vi facciamo vedere noi, l’antico valor non è ancor morto.
Il risultato si chiama Speriamo che sia femmina: non è soltanto una commedia di grande piacevolezza e di forte spessore, in sagace oscillazione tra leggerezza e gravità, tra svago e riflessione, ma il più bel film femminista degli ultimi anni. Dirò di più, e non soltanto per gusto di paradosso: pur essendo per cornice, ambientazione e un certo agro, sarcastico umore una commedia inconfondibilmente toscana, non sembra nemmeno un film italiano. Circola un’aria, più che francese, nordica in questo film sul declino di una famiglia patrizia del latifondo toscano che fa capo a un casale e a un’azienda agricola in provincia di Grosseto.
Tutto il film meriterebbe di essere analizzato scena per scena per la ricchezza della tessitura narrativa, l’impasto e la varietà dei temi drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la vivacità del controcanto comico (lo zio svanito, il glottologo in caccia di canti popolari) e il modo con cui sviluppa dall’interno, senza forzature ideologiche, il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi. […] Speriamo che sia femmina è un grande film borghese, è un’opera che arricchisce il povero panorama del cinema italiano negli anni Ottanta.
Morando Morandini, “Il Giorno”, 9 febbraio 1987