DIE VERKAUFTE BRAUT
Sc.: Curt Alexander, Jaroskav Kvapil, Max Ophüls, dall’opera comica «Prodana Nevesta» di Bedrik Smetana, libretto di Karel Smetana. F.: Reimar Kuntze, Franz Koch, Herbert Illing, Otto Wirsching. Mu.: Théo Mackeben, arrangiamento di Robert Vambery. Scgf. e cost.: Erwin Scharf. Su.: Friedrich Wilhelm Dustmann. Cast: Max Nadler (il sindaco), Jarmila Novotna (sua figlia, Marie), Hermann Kner (Micha), Maria Janowska (sua moglie), Paul Kemp (Wenzel, loro figlio), Willy Domgraf-Fassbender (Hans), Otto Wernicke (Kezal), Karl Valentin (Brummer, il direttore del circo), Liesl Karstadt (sua moglie), Annemie Soernsen (Esmeralda), Kurt Horwitz (il cantante), Therese Giehse (imbonitrice), Max Schreck (l’indiano), Ernst Zielgel, Karl Riedel, Richard Révy, Mary Weiss, Trude Haeflin, Dominik Loescher, Eduard Mathes-Roeckel, Max Duffek, Beppo Brem. Prod.: Reichsliga-Film; 35mm. L.: 2099 m. D.: 77’a 24 f/s.
Scheda Film
Uno dei principali ruoli maschili era affidato a Karl Valentin, celebre specialista di componimenti popolari, artista inseparabile dalla vita bavarese quanto la birra o i bretzel al cumino. All’inizio egli aveva rifiutato: «Io, del cinema, non ne voglio sapere. Ho visto un film, uno solo – c’era un poveraccio che si arrampicava su un comignolo e che continuava a cadere in un fiume. Un po’ poco per me, lei capisce. Insomma, visto che insiste – se mette sul contratto che non mi chiederanno di arrampicarmi su un comignolo e che non mi butteranno nell’acqua – allora, voglio proprio provare. Ah, un’altra cosa: non è il caso di farmi imparare a memoria la mia parte. Perché sono sicuro che metà me la dimentico. Al massimo posso imparare a memoria due o tre frasi alla volta. E poi non sarò solo: ci sarà Mademoiselle ad aiutarmi». «Mademoiselle» era una signora di mezza età, piccola e grassoccia, che da anni rimaneva dietro le quinte ogni volta che Valentin entrava in scena. Insomma, una «suggeritrice» privata, incaricata d’intervenire quando l’attore incespicava in uno dei suoi numerosi sketch, che tuttavia si scriveva da solo. […] Prima di ogni scena io gli spiegavo la situazione, naturalmente in presenza di «Mademoiselle». «Lei vede arrivare il sindaco che vuole riscuotere la tassa locale. L’anno prima il suo circo se l’è svignata proprio perché non potevate pagare questa tassa. Attualmente le vostre condizioni economiche non sono molto migliori e lei teme che il sindaco faccia vietare la rappresentazione. Perciò tenterà di discutere…» «Va bene, basta. Ho capito.» Nel corso di un breve conciliabolo con Mademoiselle, decideva lui stesso le risposte evasive che avrebbe dato al sindaco. Io lo lasciavo fare: le sue battute improvvisate erano molto più pittoresche, più vere di quelle del copione. Poi iniziavamo a girare. Nel giro di dieci minuti Valentin, esasperato dall’insistenza dal sindaco, si arrabbiava sul serio. I toni s’inasprivano finché Valentin, gigante dalla forza erculea, colpiva il sindaco con un pugno che non aveva nulla di simulato. Nel frattempo quattro macchine da presa, sistemate sul set in punti strategici, avevano ripreso la scena da quattro diverse angolazioni. Io non dovevo far altro che scegliere le riprese più riuscite. In questo modo riuscii a ottenere qualcosa di molto simile alle scenette recitate dagli attori ambulanti nel medio evo.
Max Ophüls , Spiel im Dasein, Stuttgart, Henry Goverts Verlag, 1959
La svendita delle forme di rappresentazione borghesi a prezzo fisso, un concerto di voci eterogenee, crepe e fratture ovunque nell’edificio, e in tutto questo, come dimostra Ophüls, la fotografia e il cinema non sono innocenti: la perdita dell’originale. Therese Giehse sollecita il pubblico a farsi fotografare, con voce stridula – Baudelaire, Wedekind e Brecht in uno: «Fotogrrrrafaaaaarrrre / Sarà un bel ricordo per Lei / L’immagine rrrriflessa su carrrta / Il divertimento dei signori veramente eleganti / A Parigi, Vienna e Berlino / Non è dipinto, è fotogrrrafaaato / Non è un gioco di prestigio, non è magia / È progresso, è scienza» Quando la Giehse dice «fotografieren», si avverte che è qualcosa ha a che fare con lo scrivere. Graffiare sulla pellicola, come in McLaren.
Frieda Grafe (1979), ora in Luce negli occhi, colori nella mente. Scritti di cinema 1961-2000, a cura di Mariann Lewinsky e Enno Patalas, Bologna/Recco, Cineteca del Comune di Bologna /Le Mani, 2002