LE MISERIE DEL SIGNOR TRAVET
Sog.: dalla commedia Le miserie ‘d mönssù Travet di Vittorio Bersezio. Scen.: Aldo De Benedetti, Tullio Pinelli. F.: Massimo Terzano. M.: Gisa Radicchi Levi. Scgf.: Piero Filippone. Mus.: Nino Rota. Int.: Carlo Campanini (Ignazio Travet), Vera Carmi (Rosa Travet), Paola Veneroni (Marianin Travet), Gino Cervi (commendator Francesco Battilocchio), Luigi Pavese (caposezione), Alberto Sordi (Camillo Barbarotti), Laura Gore (Brigida), Mario Siletti (Montoni, detto Môton), Pierluigi Verando (Carluccio), Domenico Gambino (Giachetta). Prod.: Dino De Laurentiis per Pan Film. 35mm. D.: 101’. Bn.
Scheda Film
Nei primi mesi del ‘45, mentre l’Italia del Nord è ancora occupata dai tedeschi, a Roma Roberto Rossellini mette in scena la tragica occupazione appena finita. Sempre a Roma, Soldati cerca invece degli scorci di città dove rievocare la Torino di fine Ottocento, per la versione cinematografica della commedia ottocentesca di Vittorio Bersezio: l’affettuosa elegia di una piccolissima borghesia del tempo che fu, di quella che spregiativamente il fascismo chiamava l’‘Italietta’.
Ricorda il regista: “Girai il film con grande slancio; non avevo ancora quarant’anni e volli girare il film dei torinesi a Roma quando Torino non era ancora liberata. Ricostruimmo la città in studio, la Torino che ricordavo io e come era rimasta fino ai bombardamenti. […] Questo film fu il mio Roma città aperta: ne sono molto fiero, soprattutto perché ho potuto fare una cosa che i fascisti mi avevano proibito”. Infatti il regista aveva tentato negli anni Trenta di portare sullo schermo il personaggio del piccolo impiegato torinese, ma la satira dell’ambiente ministeriale non era ben vista, e la censura aveva impedito di realizzare il film. Travet, in definitiva, “è per Soldati una specie di ritorno alle origini, agli anni torinesi, alla frequentazione del gruppo di intellettuali che si raccoglievano attorno a Piero Gobetti, a ‘Rivoluzione liberale’ e al ‘Baretti’, alle discussioni sul destino della piccola borghesia: in qualche modo un film gobettiano, estremamente consapevole della fine di una classe, dello spirito dei tempi nuovi” (Orio Caldiron). In una costruzione fatta di brevi episodi e bozzetti, spiccano l’untuoso caposezione interpretato da Luigi Pavese, e una delle prime apparizioni di rilievo di Alberto Sordi, in un personaggio già perfetto per lui.