LA JETÉE

Chris Marker

Sog., Scen., F.: Chris Marker. M.: Jean Ravel. Scgf.: Jean-Pierre Suche. Mus.: Trevor Duncan. Su.: SIMO. Int.: Jean Négroni (narratore), Hélène Chatelain, Davos Hanich, Jacques Ledoux, André Heinrich, Jacques Branchu, Pierre Joffroy, Étienne Becker, Philbert von Lifchitz, Ligia Borowczyk, Janine Klein, Bill Klein, Germano Facetti. Prod.: Anatole Dauman per Argos Films. Pri. pro.: 21 marzo 1963. DCP. D.: 28’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

La Jetée si presenta subito come una meditazione sul Tempo. Meditazione coerente. La durata è vissuta, ma il Tempo è pensato; più di un filosofo ha voluto convincercene. […] Se il Tempo è pensiero, e il pensiero logos, il linguaggio è sicuramente il veicolo migliore per navigare nel Tempo. Quando gira La Jetée, Chris Marker è ancora, è soprattutto un cineasta della parola. Il verbo, per lui, è primario. È il commento che dona alle sue immagini la loro unità, la loro continuità, il loro dramma e il loro senso definitivo. Per questo film, il suo cinema trae dal linguaggio questa cosa favolosa, e così banale che la si dimentica, che può conciliare l’immaginario e il reale, l’impossibile e il possibile, il presente dell’enunciazione con tutti i deliri, tutte le vertigini dell’enunciato. […] Il montaggio immagine/discorso di La Jetée gioca con i tempi della grammatica per giocare con il Tempo, per tentare di ritrovare il tempo dello spirito e quello del mondo. Costruisce uno strano futuro anteriore, un futuro passato, a venire e già venuto (dato che lo si racconta). E l’‘innocenza’, la ‘naturalezza’, la prontezza con cui il passato è ancora qui, il futuro si scopre già presente e già passato, fanno di noi stessi, spettatori di questa apocalisse, dei sopravvissuti. […] La Jetée è un film composto non di inquadrature immobili, ma di fotogrammi, di fermi immagine. Nel 1963 l’esperienza non è nuova. Resnais prima, Marker poi, si inseriscono in un tradizione che parte dal 1940, e che ha nell’italiano Luciano Emmer con i suoi film sull’arte il suo principale esponente […]. La sfida di La Jetée era di porre il cinema in contraddizione con i propri mezzi, di costringerlo a superare esteticamente i propri limiti, di agire d’astuzia con i suoi codici, forzarlo a negarsi nella sua essenza e poi rivendicarli improvvisamente in quell’istante magico che ha fatto la gloria del film: una foto si muove! Mentre il cinema, tradizionalmente, afferma: “questo è e diventa”, e mentre la fotografia dice: “Questo è stato”, oppure: “Questo ancora è, ma cristallizzato in un vuoto di Tempo”, il film di Marker con il suo recitativo off e la provocante immobilità delle sue immagini, dice: “Questo è, sarà ed è stato” contemporaneamente.

Barthélemy Amengual, Le Présent du futur. Sur La Jetée, “Positif”, n. 433, marzo 1997

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