Omaggio a Humphrey Jennings

L’importanza di Humphrey Jennings nel panorama cinematografico britannico è un fatto riconosciuto ormai da tempo. Già nel 1954, Lindsay Anderson lo aveva definito l’unico vero poeta che il cinema britannico avesse mai prodotto, e questa affermazione è valida ancora oggi, cinquanta anni dopo. Eppure, fuori dalla Gran Bretagna il suo lavoro è ancora scarsamente conosciuto e apprezzato, e anche in patria Jennings sembra non ricevere la considerazione che merita.

Senza dubbio uno dei motivi deriva dal tipo di film che Jennings ha girato nella sua breve esistenza (è morto nel 1950, a soli 43 anni, in seguito a una caduta in Grecia da un dirupo mentre faceva sopralluoghi per alcune riprese in esterni). I suoi film erano documentari e opere di propaganda, realizzati soprattutto per la GPO Film Unit e la compagnia che ne avrebbe poi preso il posto durante la guerra, la Crown Film Unit. Mostravano la vita e il coraggio inglesi sotto l’attacco tedesco durante la seconda guerra mondiale, il periodo in cui la produzione di Jennings diede i risultati più importanti. Ma il loro profondo contenuto, intensamente personale e lirico, realistico e surreale al tempo stesso, non aveva niente a che spartire con la blanda ufficialità tipica di questo genere.

Jennings si avvicinò alla produzione cinematografica nel 1934, con un bagaglio di interessi e di competenze estremamente vasto. Cresciuto in una famiglia di artisti, veniva considerato l’intellettuale di punta dell’università di Cambridge. I suo interessi erano molteplici: discipline letterarie e storiche, pittura, fotografia, scenografia teatrale. Conosceva e apprezzava il surrealismo francese, e anche i suoi lavori ne furono molto influenzati, sviluppando uno stile in cui si mescolavano elementi diversi. Si immerse nello studio della storia britannica, affascinato soprattutto dal modo in cui la rivoluzione industriale aveva trasformato la vita, la cultura e l’immaginario del paese. Nel 1937, assieme a un gruppo di poeti, antropologi, seguaci di Freud, surrealisti e sperimentatori di vario genere diede vita a un nuovo movimento, denominato Mass-Observation, che si prefiggeva di documentare la vita, il pensiero e i sogni della gente comune. Il suo film del 1939, Spare Time, mostra chiaramente l’influenza di questo movimento.

Ma fu il fervore della seconda guerra mondiale a mettere a fuoco tutti i suoi interessi e i suoi diversi talenti, ai quali si univa ora qualcosa di nuovo: un crescente senso di partecipazione non paternalistica alle vicende dei lavoratori, e la capacità di saperli rappresentare sullo schermo con una naturalezza allora sconosciuta al cinema britannico. Da un certo punto di vista, i film girati da Jennings durante la guerra – su cui si concentra il nostro programma – presentano una testimonianza sentita e inestimabile di come appariva e di quello che percepiva la Gran Bretagna nelle diverse fasi del conflitto, dal 1939 al 1945.

Ripercorrendo queste tracce, è possibile delineare la straordinaria crescita stilista che caratterizza la cinematografia di Jennings. L’arte surrealista e il suo istinto naturale lo avevano portato ad apprezzare le contrapposizioni sorprendenti di immagini; lo scompiglio della guerra, catturato sul posto, gli offrì del materiale ideale. Jennings e la sua troupe scandagliavano Londra e le province alla ricerca di immagini e di persone capaci di raccontare una storia; ma i film prendevano forma soprattutto nella sala montaggio, quando le inquadrature venivano mescolate e accostate con effetti disorientanti e toccanti al tempo stesso, accompagnate da colonne sonore altrettanto complesse. Alcuni dei trucchi sviluppati da Jennings per i suoi film, come il sonoro che si insinua nella scena successiva prima che quella precedente sia finita, sono poi diventati di uso comune: ma nella sua opera il loro uso non ha niente di scontato. Stewart McAllister, il suo mago del montaggio, ebbe un ruolo fondamentale nel dare forma ai film di Jennings. Una volta terminata la loro collaborazione, nessuno dei due riuscì a ottenere risultati altrettanto importanti.

Dopo la guerra, Jennings sembrò perdere contatto con la realtà del suo tempo; girava ancora film, ma non era più mosso dalla stessa urgenza, non in un paese che doveva fare i conti con le sfide della ricostruzione e del ripristino industriale, e che cercava una sua nuova identità in tempo di pace. È difficile prevedere quali strade Jennings avrebbe potuto percorrere nel cinema britannico degli anni Cinquanta: i documentari cinematografici stavano scomparendo, e l’industria dei lungometraggi non aveva bisogno di poeti. Eppure Jennings non è scomparso, è qui con noi in questo festival. E in un mondo che sembra più cattivo giorno dopo giorno, i suoi film ci permettono di vivere un’esperienza trasfigurante, e di trovare bellezza, forse anche speranza, tra gli orrori della guerra, raccontandoci la bontà di uomini e donne, e la meraviglia della vita.