Luci del varietà

A cura di Tatti Sanguineti

La rivista è uno spettacolo assolutamente italiano che viene dopo la guerra e prima della televisione. Alcune riviste furono faraoniche, la maggior parte sgangherate. Gli eroi della rivista inseguendo piazze e lire che non c’erano fecero una vita da cani saltando come pulci a scavalcare ogni settimana le montagne e l’Appennino. Nella passerella finale poltronissime e piccionaia, ricchi e poveri, non di pane egualmente affamati, vedevano per la prima volta da due tre quattro metri sei otto dodici paia di gambe di donna. Filmando in proprio anche le gambe delle loro signore, Fellini e Lattuada guadagnarono solo cambiali (Luci del varietà), semplicemente inscatolando tre riviste diverse in una unica pellicola (I pompieri di Viggiù) un ex attore fallito divenne Dino De Laurentiis.

 

Mio padre, che non era letterato, ma uomo d’affari, aborriva ogni spettacolo, eccetto il varietà e la rivista; ammetteva, tutt’al più, l’operetta. Quando mia madre, donna colta e vera intellettuale, voleva trascinarlo da Pirandello o al Tristano, egli cercava disperatamente di resistere e, tutte le volte, ripeteva un verso di Gozzano, pur senza sapere che era un verso e che era di Gozzano: Oh, mi a teatro i vad për divertime! Penso anch’io lo stesso. Una buona commedia, una buona tragedia, perfino un pezzo di musica se uno sa leggere la musica o se ha un grammofono, può gustarli comodamente in una poltrona, a casa. Quando esco, voglio qualche cosa di diverso.Voglio, appunto, divertirmi; e con la maggior libertà possibile.

Mario Soldati

 

In Vita da cani c’era la vita vera dell’avanspettacolo: l’attore che scappa dall’albergo e lascia la valigia piena di carta: «Vengo dopo a pagare, ho la valigia in camera», e poi non tornava più…Al punto di arrivare a comprare le valigette di fibra alla Standa, che costavano una lira, allora. Io una volta avevo Mario Carotenuto come spalla, simpaticissimo, che fingeva di essere il mio segretario. Lui scendeva mezz’ora prima dall’albergo, lasciava la valigia di carta in camera, e diceva: «Il conto mio va al commendatore», e se andava. Ci teneva insieme il piacere di lavorare. Ci si rubava le barzellette l’uno con l’altro, e poi naturalmente ce se ne accorgeva, e magari si veniva anche alle mani. Oggi i nuovi attori non hanno mica provato quello che stiamo raccontando adesso. Chiamiamola pure fame.

Tino Scotti