Jacques Becker – L’idea stessa di libertà

Jacques Becker (1906-1960), dopo anni trascorsi accanto a Jean Renoir come assistente, ha realizzato i suoi primi film durante l’Occupazione. Ha appreso da Renoir il gusto per la libertà della recitazione, l’amore per gli attori. Contrariamente a lui, invece, era di una minuzia e di una precisione tecnica ossessive. Gesti e oggetti hanno un percorso proprio nei suoi tredici film: si pensi alle serie di schiaffi in Casque d’or, alle porte che si aprono e si chiudono in Falbalas e altri film. 
Innamorato del jazz e del cinema americano (e amico di King Vidor, Howard Hawks, Henry Hathaway), ‘vieille France’ come Max (Jean Gabin) in Grisbi, passa da un genere all’altro e da un ambiente all’altro con l’eleganza suprema del suo Arsène Lupin. Era uno dei cineasti intellettualmente più rispettati e più amati dai suoi contemporanei. Eppure, affermava nel 1949: “Provo orrore per la mia generazione. Dedica attenzione soltanto a ciò che è morto. È la generazione del far finta. Ha finto di amare Charlot: ma gli preferisce Jean Marais. Ha finto di amare Armstrong: ma gli preferisce Jack Hylton. La mia generazione è invischiata nelle comodità, nella pigrizia, nella facilità. Quanto al resto, in essa non c’è nulla di autentico”.
Ecco che si profila un altro Becker, che uno dei suoi eredi, François Truffaut, ritraeva come “inquieto, angosciato, elegante, lirico, inglese, nervoso, tormentato”. Attivo nella Resistenza, Becker ha difeso Clouzot e il grande Le Vigan contro l’isteria dell’epurazione; quarantenne, ha preso le difese dei giovani contro i loro padri; ‘professionista della professione’, si è battuto per Bresson e Ophuls, allora denigrati, contro la concezione del ‘cinema, mestiere nostro’ che dominava all’epoca. Becker difendeva il cinema d’autore, il diritto del regista di essere padrone del suo film. Nel 1957 Max Ophuls, malato, l’aveva designato per dirigere in sua vece Montparnasse 19, e lo sceneggiatore e dialoghista ‘divo’ Henri Jeanson s’indignò di vederlo rimaneggiare il suo lavoro e cancellare le sue parole d’autore: “Quando accetti un soggetto, scrisse a Becker, tu hai l’abitudine di girarne un altro. Non hai girato Arsène Lupin, non hai girato Casque d’or, hai costruito delle storie che non avevano nessun rapporto con il soggetto iniziale. Sei capace, per una volta, di farti da parte e girare la nostra sceneggiatura e non un’altra cosa?”. Non si potrebbe definire meglio ciò che contrapponeva Becker a una produzione a cui apparteneva solo tecnicamente, e che perciò lo avvicinava ai giovani cinéphile che si preparavano a sconvolgere le tradizioni.
È certamente per questo che Godard vedeva in Montparnasse 19 una definizione del cinema e che Becker ha dato al cinema francese il più bel film sul mondo contadino (Goupi Mains rouges), un manifesto per la gioventù (Rendez-vous de juillet), il più bel film noir (insieme a La Nuit du carrefour di Renoir, di cui era assistente), Grisbi, e che è stato, con il suo ultimo capolavoro, Le Trou, il solo “ad aver filmato l’idea stessa di libertà” (Serge Daney).

Bernard Eisenschitz

 

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