Il jazz al cinema

 Programma a cura di Ehsan Khoshbakht e Jonathan Rosenbaum

 

Oggi che il jazz non viene più automaticamente associato alla decadenza e alle forze dell’oscurità, possiamo finalmente apprezzarlo per il suo valore intrinseco e cominciare a guardare con una certa obiettività ai cent’anni di collaborazione tra jazz e cinema. In entrambi i casi si tratta di arti giovani più o meno contemporanee al Ventesimo secolo che si sono affrancate da origini socialmente riprovevoli battendosi per ottenere dignità e riconoscimento.
Parte di questa collaborazione ha prodotto il jazz film, sottogenere dedicato soprattutto alla documentazione delle esibizioni musicali. Ma esistono anche riuscite sinergie tra le potenzialità espressive di jazz e cinema. E i modi in cui il jazz è stato usato nei film ci rivelano sempre molto delle tendenze sociali, etniche, estetiche e culturali di un determinato contesto storico. Le diverse reazioni dei produttori cinematografici alla presenza dei gruppi jazz nei film degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta rappresentano una sorta di storia sociale in miniatura. A volte i musicisti neri erano costretti a suonare fuori campo mentre i loro assoli venivano mimati da controfigure bianche, in altri casi i musicisti bianchi venivano tenuti nell’ombra per farli sembrare neri.
Forse la prima sinergia tra jazz e film di finzione di cui abbiamo traccia è un muto oggi perduto in cui appariva l’Original Dixieland Band, The Good for Nothing (1917), contemporaneo alla prima incisione jazz. Facendo un balzo in avanti fino al sonoro, ci imbattiamo in Black and Tan Fantasy, un cortometraggio notevole girato nel 1929 da Dudley Murphy. In seguito, mentre i Soundies contribuivano alla massiccia produzione di jazz film e alla loro trasformazione in attrazioni da juke-box, il sogno di un cinema jazz ‘puro’ si concretizzò in film realizzati da artisti provenienti dal cinema d’animazione o dalla fotografia.
Alcuni registi sono più portati di altri per le atmosfere jazz. Quelli che amano l’improvvisazione sembrano mostrare una particolare inclinazione per la musica. Nei film dell’appassionato di jazz Howard Hawks, la musica svolge spesso un’importante funzione di aggregazione sociale. Solo Ball of Fire (1941) e il suo remake Venere e il professore (1948) usano esplicitamente il jazz per esaltare lo spirito cameratesco della trama, ma il principio resta lo stesso nelle songfests presenti in alcuni dei migliori film del regista.
Tanto i tormenti privati quanto l’euforia collettiva pervadono le atmosfere di film di finzione quali All Night Long (Basil Dearden, 1961) e When It Rains (Charles Burnett, 1995), mentre l’esuberante Jazz on a Summer’s Day (1959), documentario girato da Bert Stern e Aram Avakian al Newport Jazz Festival, valorizza l’euforia che accomuna pubblico e musicisti. E infine, Big Ben: Ben Webster in Europe (Johan van der Keuken, 1967) offre il ritratto di un grande del jazz in esilio.

Ehsan Khoshbakht e Jonathan Rosenbaum