ERIC ROHMER DOCUMENTARISTA

All’epoca Eric Rohmer entrava a far parte di un gruppo in piena formazione, costituito per far fronte a un’imminente estensione dei nostri orari sulla prima rete a partire dall’ottobre 1963. Georges Rouquier si sarebbe occupato di una parte di queste nuove trasmissioni. Insegnanti, professionisti della Tv, tecnici di formazione cinematografica, registi con buona esperienza pratica, dovevano diventare parte integrante del dispositivo messo in atto per garantire in primo luogo i programmi che eravamo stati incaricati di curare in parallelo alle pure e semplici discipline d’insegnamento (…). Nello stesso tempo, e di nostra iniziativa, ci sforzavamo di occupare buona parte del nostro tempo d’antenna, sperimentando nuove possibilità di incontro tra cinema e pedagogia. Oltre a Rohmer infatti, partecipano a queste ricerche altri cineasti o cinéphiles come Nestor Almendros, Jean Douchet, Jean Eustache, Bernard Eisenschitz, al punto da suscitare, nel 1969, l’attenzione di Henri Langlois, che dedica una serie di proiezioni ai “cineasti della televisione scolastica”.
Fin dall’inizio ci fu coincidenza tra i presupposti di Rohmer e quelli che io cercavo di far condividere a coloro che erano incaricati delle differenti rubriche della programmazione o della concezione dei soggetti. Professore egli stesso, e perfettamente in grado di garantire ad un tempo la definizione del contenuto e la realizzazione dei film destinati ad essere diffusi nelle classi, Rohmer, fin dall’inizio, fu in grado di sperimentare il passaggio tra la delimitazione di un’unità didattica e l’organizzazione della messa in scena, o la messa a punto di un montaggio, capaci di metterla in atto. Del resto, per sua stessa ammissione, Rohmer ha sempre sentito la sfida della “visualizzazione” come un impegno e, nello spirito di Jean Renoir, ne ha fatto uno dei suoi punti di forza (…). Quanto al contenuto degli interventi di Rohmer nei nostri programmi, la natura dei soggetti e le modalità di collaborazione (…) hanno comportato variazioni, anche se mi sembra si possa ordinare l’insieme secondo due distinzioni: in primo luogo c’è il suo contributo alla pedagogia della letteratura rivolta alle classi di secondo ciclo mentre, dopo il 1967, si avvale dell’opportunità di utilizzare la Tv come supporto alla diffusione di “classici” della storia del cinema (all’epoca non c’erano ancora i “cineclub” televisivi) e di trasmissioni di commento a questi film. (…)
Durante i primi anni di questo periodo, che costituiscono il momento più assiduo dell’intervento di Rohmer, egli si è occupato integralmente di otto trasmissioni che mi sembra opportuno separare in due gruppi corrispondenti a due modelli, la lezione visualizzata e il saggio documentario. (…)
Il secondo modello è illustrato da Métamorphoses du paysage che assume la forma del documentario (…). Incaricato di trattare un soggetto legato ad un ciclo di trasmissioni sull’”era industriale”, Rohmer e l’operatore Pierre Lhomme, partendo da criteri di scelta contingenti e soggettivi, hanno esercitato “la curiosità del loro sguardo” su paesaggi, perlopiù suburbani, segnati dalle trasformazioni e dai guasti provocati al nostro ambiente durante il XIX secolo. (…) Il compimento di queste intenzioni prende la forma di un percorso immaginario, nella linea de L’uomo con la macchina da presa di Vertov, grazie ad un montaggio lineare e non ricorrente, accompagnato da un testo che aggiunge osservazioni referenziali o critiche (…). Immagine e commento sono caratterizzati da quell’accordo tra lucidità espressiva e riservatezza che è conforme alla concezione estetica rivendicata da Rohmer nel 1965: “Sì, mostrando si compie un atto di significazione, ma non sideve significare senza far vedere. La significazione non può venire che in aggiunta. Il nostro progetto è quello di mostrare. La significazione deve essere concepita a livello stilistico e non grammaticale, o allora a livello metaforico…” Continuando sulla nostra linea di lettura, ora Rohmer passa dal ruolo di pedagogo a quello di “uomo con la macchina da presa” e di saggista: la messa in scena quasi drammaturgica di un mulino – antica installazione industriale divenuta cliché bucolico-fantastico – della ciminiera di una fabbrica, delle discariche o di una metropolitana sopraelevata, non cela la sua alchimia iconografica, frutto di inquadrature tese a ritmare le pulsazioni visuali, avvicendate da movimenti lenti, per sviluppare determinate porzioni di spazio. (…)
La presa di contatto degli allievi delle classi terze con Le Roman de Perceval ou le Conte du Graal, ha reso obbligatorio il ricorso a documenti iconografici, evitato da Rohmer nei due film precedenti. Questo si presenta come la messa in immagini di un commento parlato, introdotto dalla voce off del regista e si trasforma in seguito in un montaggio di citazioni di Chrétien de Troyes lette da Antoine Vitez, che ha collaborato a molte di queste trasmissioni prima di interpretare un ruolo di primo piano in La mia notte con Maud. (…)
In Les “Caractères” de La Bruyère, la scrittura dell’autore classico, ancora di più che in Perceval, deve essere il centro d’interesse. Le riprese degli attori in scenari naturali, composti come dovevano essere nel XVII secolo, non tende in realtà ad una messa in scena dei “ritratti” di La Bruyère. (…) Questo film offre infatti l’occasione per una sorta di corrente di scambi: in un senso l’aspetto fisico delineato a partire da La Bruyère, i costumi, le scene appropriate, hanno trascinato il regista in una rêverie di ricostruzione dal vivo del clima quotidiano di Versailles. (…)
Nel Don Quichotte la successione comparativa delle illustrazioni del romanzo a partire dal XVII secolo ci fa assistere allo sviluppo della tradizione immaginaria del mito che, già nei venticinque cartoni eseguiti per le tappezzerie dei Gobelins da Charles-Antoine Coypel nel 1716, è amplificato alle dimensioni di una scenografia dell’universo di corte. (…)
Les Histoires extraordinaires d’Edgar Poe è meno spontaneo. Tutti i Racconti straordinari sono costruiti sullo stesso motivo cosmico: il movimento periodico che, nello stesso tempo, è la legge esplicativa della nascita e della sparizione dell’universo, e la forma dello scambio, nella creazione, tra l’uomo e il mondo. Quattro estratti di film montati successivamente in ordine di crescente patetismo visuale, addizionano sapientemente le loro suggestioni fantasmatiche. (…)
Questi eccessi dell’immagine rispetto alla trama che le ha dato origine, si pongono in contrasto se rapportate alla perfetta concordanza con il testo di Victor Hugo dell’escursione cinematografica da Rohmer, poco tempo dopo, nell’isola di Jersey, sui luoghi stessi in cui furono concepiti i due ultimi libri delle Contemplations. “Questo confronto è risultato singolarmente facilitato dal carattere visuale dell’immaginazione di Victor Hugo. Per l’autore de La Bouche d’ombre, ogni essere è determinato dalla sua figura, o meglio, dalla sua configurazione. Il fisico ne postula l’aspetto morale e viceversa. (…)”. L’introduzione è offerta da vedute di luoghi simbolici: Marine-Terrace, il dick, la roccia dei proscritti; poi immagini più dettagliate materializzano echi delle letture poetiche del cineasta: il fascino diffuso dell’isola di Jersey, le onde, i fiori selvaggi, gli uccelli, imponenti impressioni della costa nord, e ancora onde, visioni e disegni di rovine, rocce di foggia strana e villaggi immaginari.

Georges Gaudu, Eric Rohmer: pedagogia televisiva e saggismo cinematografico, in Eric Rohmer. Un hommage du Centre Culturel Français de Turin, a cura di Sergio Toffetti, Fabbri editori, Torino-Milano 1988

 

Eric Rohmer riteneva che vedere, «significa anche godere del piacere della visione. Le opere che restano del passato sono, in generale, delle opere d’arte. La barriera che un tempo separava l’insegnamento delle discipline artistiche e letterarie, oggi è dissolta. E la televisione didattica deve essere la prima a proclamare e rendere tangibile questa massima: «Solo la bellezza è verità», questo è il nostro motto».
All’epoca in cui la televisione francese aveva una vocazione educativa, Eric Rohmer vi lavorava e creava alcuni «capolavori» (Serge Daney). Sono quei film pedagogici originali e spesso misconosciuti che entusiasmarono Henri Langlois nel 1969. Dedicò un ciclo ai “cinéastes de la télévision scolaire” (cineasti della televisione didattica). Ecco come attirò un ampio pubblico a questi film didattici presentati per la prima volta alla Cinémathèque française: “Il «G.P.O. Film Unit» a Londra negli anni Trenta, con il pretesto dei documentari di formazione tecnica o di educazione per il pubblico in materia postale, fu il laboratorio dove sopravvisse l’avanguardia e da cui uscirono quasi tutti i talenti che, a partire dal 1940, avrebbero rinnovato i soggetti e i film dell’industria britannica. Ho l’impressione che gli sforzi della televisione didattica condurranno allo stesso effetto. E se Mac Laren inizia il suo apprendistato di cineasta con un documentario che spiega quale sia il modo migliore di servirsi dell’elenco telefonico, è evidente che un giorno, quando si risalirà alle origini di un cineasta o di un altro, si arriverà a un film: una commissione della Tv didattica. La Tv didattica è quindi un vivaio dove non si teorizza sui film, ma dove il cinema si impara sul serio (secondo il vecchio metodo di Griffith e Méliès) con le proprie mani, con la pratica».
Eric Rohmer riteneva che non ci fosse differenza «tra un film girato per il piccolo schermo e un film girato per il grande». Si possono effettivamente tessere dei legami intimi fra la sua opera documentaria per la televisione e le sue narrazioni cinematografiche. In un’intervista inedita, presto disponibile in DVD, Eric Rohmer commenta i propri film pedagogici e, per esempio, presenta Métamorphoses du paysage come una delle sue opere più originali. Immerso nell’amore del bello, aggiunge che in questi film pedagogici la bellezza plastica era molto importante. Anche in un programma come Cabinets de physique, si interroga sui rapporti fra l’arte e le scienze e, come Roberto Rossellini che aveva intervistato nel luglio del 1963 per i «Cahiers du Cinéma», si mostra subito sensibile al tema della didattica e dell’arte.

Laurent Garreau, responsabile del Fonds audiovisuel du SCEREN-CNDP

Sezione a cura di Laurent Garreau