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02/07
Cinema Arlecchino > 11:15
MITT HEM ÄR COPACABANA
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Sottotitoli
Versione originale con sottotitoli
Modalità di ingresso
MITT HEM ÄR COPACABANA
Scheda Film
Arne Sucksdorff (1917-2001), il più importante documentarista svedese, tra il 1941 e il 1965 diresse sedici corti e quattro lungometraggi. Sin dall’inizio girò in esterni ritraendo la natura e la fauna selvatica, che sono il tema anche del suo primo lungometraggio, Det stora äventyret (La meravigliosa avventura, 1953).
Per ironia della sorte, probabilmente i migliori film del grande regista della natura sono però quelli d’ambientazione urbana: il corto premiato con l’Oscar Människor i stad / Symphony of a City (1947) e Mitt hem är Copacabana. È come se l’esperienza acquisita filmando paesaggi e animali, spesso trascorrendo molte ore in attesa del momento giusto, avesse permesso a Sucksdorff di rivelare rapporti e configurazioni dei paesaggi urbani che sfuggivano ad altri registi.
Dopo il documentario d’ambientazione indiana in CinemaScope En djungelsaga (The Flute and the Arrow, 1957, proiettato al Cinema Ritrovato nel 2006), Sucksdorff fece ritorno in Svezia per girare Pojken i trädet (The Boy in the Tree, 1961), fallita incursione nel cinema di finzione. Nel 1962 accettò di andare a Rio de Janeiro per tenere un corso di cinema organizzato dall’Unesco. Decise di fermarsi in Brasile, e nel gennaio del 1964 iniziò a girare Mitt hem är Copacabana. Con riprese visivamente magnifiche e splendidamente coreografate, dove il movimento della macchina da presa è in perfetta sintonia con i movimenti davanti all’obiettivo, Sucksdorff ritrae i sogni, le paure, la gioia e le terribili condizioni di vita di quattro ragazzini di strada che trascorrono le loro giornate nella favela della Babilonia e sulla spiaggia di Copacabana. In ultima analisi Sucksdorff sembra essere, più che il grande regista della natura, un grandissimo regista di bambini, dei quali – che vivano a nord del circolo polare artico, sugli altopiani dell’India centrale o nelle favela di Rio – sa mostrare innocenza e speranze, ostacoli e difficoltà.
Mentre insegnava in Brasile il regista conobbe tra gli altri Nelson Pereira dos Santos, ed è da molti considerato uno dei padri del cinéma nôvo. Rimase a vivere in Brasile anche dopo Mitt hem är Copacabana, realizzando una serie televisiva sul Pantanal nel Mato Grosso.
Jon Wengström
Cast and Credits
F.: Arne Sucksdorff. Scen.: Arne Sucksdorff, Flávio Migliaccio, João Bethencourt. Mus.: Radamés Gnattali. Int.: Josafá Da Silva Santos (Paulinho), Antônio Carlos de Lima (Rico), Leila Santos de Sousa (Lici), Cosme dos Santos (Jorginho). Prod.: AB Svensk Filmindustri. DCP. D.: 88’ a 24 f/s. Bn.
LE PARTI DES CHOSES: BARDOT ET GODARD
Scheda Film
Quando, nel 1963, Jacques Rozier filma il making del Disprezzo di Jean-Luc Godard, gira anche due corti complementari, Paparazzi e Le Parti des choses: Bardot et Godard. In quest’ultimo si accosta con maggior serietà all’atto creativo, rivela i compiti quotidiani dei tecnici, gli spostamenti degli attori, le prospettive del regista e racconta l’insieme, tutto sommato aleatorio, della lavorazione, determinata sovente da circostanze accidentali.
Bardot e Piccoli, che impersonano la coppia alla deriva, sensibile e fragile, prendono posizione, i direttori di scena sono indaffarati, gli addetti all’immagine e al suono si coordinano, l’uomo del ciak annuncia l’azione e Godard dirige con timore reverenziale Fritz Lang, “il vecchio capo indiano”, “il portavoce degli dei”, “colui che scruta gli uomini”, dirà la voce over, quella voce che, per tutto il film, sembra trasmettere il comune pensiero di Godard e di Rozier. Jacques Rozier, visibilmente affascinato da Fritz Lang e da Brigitte Bardot, è anche affascinato dall’amico Jean-Luc Godard. Con la sua camera, segue la camera di Godard: questa volta è lui il paparazzo che dà la caccia alla macchina cinema.
Se la componente aleatoria non è affatto estranea al cinema, e non è comunque estranea né al cinema di Godard né a quello di Rozier, è perché i loro film si nutrono costantemente di una riflessione sulla modernità e sulla necessità di pensare in un altro modo il mondo e la sua rappresentazione. Il corto Le Parti des choses: Bardot et Godard, specchio malizioso del pensiero di Jacques Rozier, è in qualche modo la sua descrizione della donna moderna: illogico, disarmante, misterioso, regale.
Hervé Pichard
Il piacere del viaggio e della vacanza, il motivo ricorrente dell’acqua e delle isole, il senso struggente della durata, l’inclinazione per i generi e gli attori popolari, l’ibridazione di documentario e fiction, l’improvvisazione e le inversioni di rotta sublimate a supreme qualità artistiche, segnano in maniera indelebile un cinema come questo, che procura come nessun altro la sensazione, insieme gioiosa e malinconica, della grazia dell’esistenza e della fragilità dell’istante. Paradossalmente, nulla è più in sintonia con il mondo, o nulla è più visionario, di un cinema così insulare, che arriva a cogliere l’essenziale procedendo a zigzag.
Jacques Mandelbaum, “Le Monde”, 1° settembre 2001
Cast and Credits
T. alt.: Bardot et Godard. F.: Maurice Perrimond. M.: Jacques Rozier, Jean Collet. Mus.: Antoine Duhamel. Int.: Brigitte Bardot, Jean-Luc Godard, Michel Piccoli, Jack Palance, Fritz Lang. Prod.: Argos Films. DCP. D.: 8’. Bn.
GAI DIMANCHE
Scheda Film
Gai dimanche è la seconda delle performance sullo schermo di Tati a essersi conservata su celluloide. Il film di tre rulli fu scritto con Enrico Sprocani, un clown da circo affettuosamente chiamato Rhum, e trae ispirazione dal periodo in cui i due amici vivevano di espedienti.
Tati e Rhum, due vagabondi, decidono di noleggiare una vecchia auto scalcagnata per accompagnare i turisti in giro per la campagna. Una serie di gag visive prefigura le tematiche e i metodi che Tati svilupperà e perfezionerà anni dopo.
Neil McGlone
Cast and Credits
Scen., Int.: Jacques Tati, Rhum. F.: Marcel Paulis. Mus.: Michel Lévine. Prod.: Marcel de Hubsch per Atlantic Film DCP 2K. D.: 21’. Bn
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