Entezar, secondo film di Amir Naderi per Kanoon – l’istituto iraniano per la produzione di beni culturali per ragazzi e giovani adulti –, segnò un intelligente e calcolato allontanamento dai crudi dramma urbani e dai polizieschi dei primi anni Settanta che avevano reso famoso Naderi ma lo avevano anche lasciato artisticamente insoddisfatto.
Questa meditazione semiautobiografica e priva di dialoghi sulla pubertà e il desiderio fu girata nella città vecchia di Bushehr, nell’Iran meridionale, e montata dal documentarista della nouvelle vague iraniana Kamran Shirdel. La trama, riassumibile in due righe, si incentra su un ragazzo orfano che ogni giorno va a prendere il ghiaccio per i suoi anziani tutori e si innamora di una ragazza pur avendo visto solo le sue mani. Entezar, che mostra Naderi all’apice delle sue qualità narrative puramente visive, rappresenta una rottura con il realismo dei film precedenti permettendo a immagini illusorie di affiancarsi a momenti documentaristici come il rito funebre in ricordo di un santo sciita. Pervaso da una visione euforica della vita e del cinema che si esprime attraverso l’ossessione per la luce e il movimento, e da un’estrema sensibilità sensoriale, questo capolavoro mette a fuoco in tre quarti d’ora ciò che richiede ad altri film ore e ore di digressioni.

Ehsan Khoshbakht