27/06/2018

Presentazione del progetto ‘Producers and production practices in the History of Italian Cinema’

Si è aperta martedì 26 giugno in Sala Borsa la mostra ad ingresso libero  Dream Makers, come i produttori hanno fatto grande il cinema italiano, coronamento e punta d’iceberg di un progetto molto più ampio, denominato Producers and production practices in the History of Italian Cinema. Tale progetto, realizzato da un nutrito team di professionisti del settore guidato da Stephen Gundle e comprendente Michela Zegna, Barbara Corsi, Marina Nicoli, Karl Shoonover, Stefano Baschiera e Sara Verrini punta ad accendere un faro sulla figura del produttore, la quale troppo a lungo è rimasta relegata ai margini dei dibattiti sul cinema, specialmente se si parla del cinema italiano.
La mostra – il cui allestimento è stato curato dall’Archivio fotografico della Cineteca di Bologna (Rosaria Gioia, Emiliano Lecce, Giuliana Cerabona) – in particolare si propone di far conoscere il contributo portato dai grandi produttori all’industria cinematografica italiana nel periodo del suo maggior successo, dal 1947 al 1975, con un focus su 6 film significativi di questo periodo più un approfondimento su “Nuovo cinema paradiso” di Giuseppe Tornatore, che pur esulando dal suddetto periodo si pone come perfetto emblema dell’intervento del produttore sul film che l’intero progetto vuole raccontare.
Ma è alla presentazione del giorno prima, lunedì 25 giugno, avvenuta nella sala conferenze del MamBo, che il progetto nel suo insieme è stato sviscerato, e numerosi sono stati i punti affrontati per dare le coordinate di un progetto molto grande e ambizioso.
Stephen Gundle, team leader e rappresentante dell’Università di Warwick come maggiore finanziatore del progetto, introduce dicendo che sono tre le domande a cui si vuole rispondere con questo lavoro: Chi è il produttore? Cosa fa? Quale è il contributo che apporta al film?
La stessa Michela Zegna è la prima a dire che negli archivi della Cineteca di Bologna sono presenti numerosissimi documenti a proposito dei produttori ancora accatastati di cui solo una minima parte è esposta, e che se non fosse stato per questo progetto sarebbero rimasti nell’ombra ancora a lungo. Attraverso un lunghissimo lavoro di ricerca negli archivi (vengono ringraziati in particola modo gli archivi dell’Anica e della Cineteca Lucana) si è arrivati, tra le altre cose, alla creazione sul web di un archivio digitale denominato “Archivio CristaldFilm” che, introdotto da Sara Verrini, archivista che lo ha catalogato, contiene 280 faldoni comprendenti documenti riguardanti un periodo che va dalla metà degli anni ‘50 alla metà degli anni ‘90, «Il sito è una vera e propria guida alla figura del produttore nella persona di Franco Cristaldi ed è un fatto eccezionale che ci sia un sito dedicato ad un archivio di questo tipo in Italia».
Dall’intera presentazione emergono diversi aspetti interessanti, riassunti sempre da Gundle in tre tratti fondamentali che caratterizzano il produttore e la sua fondamentale attività. Il primo di questi è l’idea senza la quale non si fa niente e della quale il produttore si prende la responsabilità investendo i propri capitali, gesto molto rischioso specialmente nei primi decenni del dopoguerra. Marina Nicoli, dell’Università Bocconi, con il suo intervento affronta il tema di come il produttore sia una figura attorno alla quale circolano idee molto confuse. Con il titolo “Eroe senza volto o semplice affarista?” riassume alla perfezione un concetto in realtà molto ampio e sfaccettato per cui, specialmente nel periodo che va dal dopo-guerra agli anni ‘80, la Autor theory relega il produttore al ruolo del semplice capitalista in affari sulle opere degli autori cinematografici, e che solo dopo questo periodo gli sarà riconosciuta una, seppur ancora minima, valenza creativa sull’intero discorso film.
L’idea e l’importanza di come il produttore la sostiene emerge soprattutto nel momento in cui Barbara Corsi ringrazia e intervista Maria Amato, figlia del produttore Giuseppe, la quale dice con determinazione che il padre, con il suo immenso amore per il cinema, fu il primo a credere nel film “La dolce vita”, perché venne a costituire quell’elemento di congiunzione e mediazione senza cui probabilmente sarebbe naufragato il rapporto tra il produttore Angelo Rizzoli, finanziatore che però considerava il cinema solo un’appendice del suo colosso mediatico, e il regista Federico Fellini, il quale preso dalla sua realizzazione autoriale sforava continuamente nei tempi e nelle spese.
Maria Amato dichiara di aver acconsentito con gioia all’apertura di casa sua per la raccolta materiali necessari alla realizzazione di questo progetto, poiché proprio dalle lettere private del padre si può evincere la passione per il cinema con cui ha guidato tutta la sua carriera di produttore.
Il secondo elemento fondamentale che Gundle fa presente è l’organizzazione, «gestire i soldi, trovare location, attrezzature e mezzi, incaricare le figure che andranno a dar vita al film. Tutta la parte organizzativa è in mano al produttore». A tal proposito sempre la Nicoli spiega che anche i produttori stessi sono dei prodotti culturali poiché risultato dei contesti socio-culturali nei quali si sono formati, e che questo emerge nel loro operato, nelle loro capacità di combinare elementi economici, creativi e tecnici. Operazioni in cui la figura di Cristaldi emerge come emblematica, definito come «colui che era capace di dare vita all’organizzazione».
Un altro esponente dell’Università di Warwick, Karl Shoonover, spiega che non solo nel resto d’Europa e nel Nord-America, ma in tutto il mondo il cinema italiano è percepito perlopiù come cinema d’arte, cinema d’autore, ed esso raggiunge i risultati più interessanti quando anche i suoi capitali sono investiti in tratti più internazionali, specialmente per quanto riguarda le scelte delle location e del titolo non-italiano. A questo proposito, è significativa la conversazione a fine intervento tra il Direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli e il produttore cinematografico Fulvio Lucisano in cui quest’ultimo, raccontando alcuni episodi della sua immensa esperienza nel settore della produzione, spiega che i risultati più importanti li ha raggiunti quando nei suoi film sono stati coinvolti attori non italiani, e lancia anche un monito polemico contro il fatto che oggi non si investe più in questo tipo di iniziative.
Terzo ed ultimo elemento caratterizzante i produttori è il pubblico. Dai documenti raccolti, dal lavoro svolto nonché dai produttori intervistati come Lucisano emerge come per il produttore sia fondamentale il rapporto con le sale cinematografiche e con il loro pubblico per capire cosa vuole, cosa cerca e di cosa ha bisogno. Sandra Zingarelli, figlia del produttore Italo Zingarelli, anch’essa intervenuta sul ringraziamento di Stefano Baschiera, racconta che il pubblico fu fondamentale per il sostegno al lavoro del padre in occasione del film “Lo chiamavano Trinità”, poiché la critica del tempo lo aveva letteralmente massacrati, ma fu l’affluenza del pubblico al botteghino, anche in occasione del sequel, a decretare il vincitore finale.
Dopo la presentazione, una tavola rotonda di studiosi si unisce in un breve dibattito su Dream Makers e sull’intero progetto. Nel particolare, Gian Piero Brunetta esprime ringraziamenti e la soddisfazione di uno storico del cinema che si è sempre visto le porte degli archivi chiuse quando si andava ad affrontare la figura nebulosa del produttore. Giacomo Manzoli rivendica la permeabilità, da lui sempre sostenuta, tra il cinema popolare e il cinema d’autore che si evince da un primo studio su questi materiali quando si nota il frequente scambio di figure e competenze professionali nei documenti di produzione. Luca Mazzei, discostandosi un po’ dal tono generale, fa notare come in realtà i materiali sui produttori vi erano sempre stati ma sempre percepiti come marginali o addirittura esterni al discorso “film” poiché il produttore è colui che crea “le carte” del cinema. Paolo Noto infine, si associa al ringraziamento generale e, rispondendo all’intervento del collega Mazzei, gli muove una critica bonaria dicendo che fosse per il produttore “le carte” del cinema sarebbero ridotte al minimo, è bensì lo stato che crea la mole di documenti necessari, l’ente che in Italia ha avuto per più di quaranta anni la gestione dell’intero ciclo produttivo cinematografico, anche nel periodo di interesse del progetto in questione, e che piuttosto, compito opprimente del produttore era gestire l’immenso lato burocratico richiestogli.
L’intento dell’intero progetto in definitiva e al di là delle analisi, non è di trasformare una figura spesso denigrata in un eroe, ma piuttosto di portare in luce il modo in cui un ristretto gruppo di uomini ha contribuito a creare quei sogni collettivi che, per vari decenni, il cinema italiano ha avuto la capacità, la forza e l’amore di raccontare al mondo.

Roberto Giani

Nella gallery le foto di Lorenzo Burlando dalla conferenza stampa e dalla inaugurazione ufficiale della mostra