29/06/2015

Lezione di cinema: ‘Renato Casaro, l’ultimo pittore del cinema’

Il protagonista della Lezione di cinema di questa mattina è stato Renato Casaro, ‘L’ultimo pittore del cinema’. Ad accompagnarlo sul palco vi erano il collezionista Maurizio Baroni, il critico cinematografico esperto di cartellonistica Andrea Maioli e Rosaria Gioia, responsabile dell’Archivio fotografico e dell’Archivio della Grafica della Cineteca di Bologna; mentre ad accompagnare i suoi racconti sono stati i nomi dei grandi registi ed attori con cui ha collaborato durante la sua lunga carriera. Quello del cartellonista è prima di tutto un mestiere d’arte, con uno scopo ben preciso: invogliare la gente ad andare al cinema. Casaro è riuscito in modo mirabile a catturare l’attenzione dei futuri spettatori con le sue opere: «Una volta un regista mi disse ‘Sono andato a vedere Nikita perché ho visto il tuo manifesto’».
Ripercorrendo il suo percorso professionale, Casaro individua due fasi: una iniziale, più acerba, dove si affiancano ai lavori che lo hanno soddisfatto, alcuni che oggi rifarebbe; ed una seconda, più consapevole, ricca di collaborazioni con maestri del cinema del calibro di Sergio Leone o Bernando Bertolucci. «Ho avuto un rapporto bellissimo con Leone», ricorda. I più celebri sono rimasti: il manifesto tedesco di Per un pugno di dollari, Il buono, il brutto e il cattivo, le numerose versioni di C’era una volta in America. Tra queste ultime, una in particolare gli fu criticata poiché «mancava la donna», così come lamentò un produttore tedesco. In effetti era strano che nel manifesto di un film di gangster non fosse presente la componente femminile, e nemmeno ci fossero delle pistole. Questa è però una delle caratteristiche dello stile di Casaro, ovvero la sintesi grafica. Si prenda un altro celebre poster, quello del film di Luc Besson, Nikita: un esempio di sintesi estrema in la figura femminile è di spalle e il volto è negato, per «lasciare al pubblico la possibilità di immaginare cosa è successo».

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Anche la collaborazione con Bertolucci è stata estremamente prolifica, basti ricordare i titoli Il tè nel deserto, L’ultimo imperatore, Piccolo Buddha. «Il regista ti dà degli input molto profondi – spiega Casaro –, per cui bisogna conoscere sia il film, che il regista stesso». Il confronto con l’autore corrisponde alla prima fase del lavoro, quando viene commissionato il progetto; ad essa segue poi la preparazione, per la quale si rivelano di fondamentale importanza la visione del film e la presenza sul set. Durante le riprese molti attori accettano di farsi scattare qualche foto, come è stato con Sylvester Stallone, Carlo Verdone, Arnold Schwarzenegger. Terence Hill e Bud Spencer fanno eccezione poiché, da Lo chiamavano Trinità… in poi, il loro legame con Casaro si è consolidato a tal punto da commissionargli quasi tutte le locandine dei loro film. «Ho sempre lavorato con loro. Avevo colto l’aspetto sonnolento del personaggio di Terence Hill, soprattutto». Casaro interveniva anche visualizzando attraverso storyboard delle scene che erano state solo abbozzate nelle sceneggiature, come ad esempio nella «scena della barella» del già citato classico del genere spaghetti-western di Hill e Spencer.
Vi sono poi state anche locandine nelle quali è intervenuto solo in parte, come quella di 007 – Octopussy, in cui «l’immagine centrale era di un collega» e si trattò semplicemente di completarla. I ritmi della sua produzione sono sempre stati serrati, sarebbe impossibile contare tutte le sue opere, ma sicuramente superano le centinaia; dal momento della commissione a quello della consegna del lavoro potevano passare talvolta poche ore. A questo proposito Casaro ricorda un episodio legato alla realizzazione del manifesto del film Maciste contro lo sceicco, durante la quale continuava a «non consegnare il bozzetto» e a ripetere che l’aveva quasi finito. «Allora il produttore mi disse che nel giro di due ore sarebbe arrivato a ritirarlo, e io in quelle due ore l’ho finito».

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Ma la produzione artistica non si ferma qui. Casaro ha infatti preso in riesame numerose locandine del passato di classici come Casablanca: «Ho un po’ il rimpianto di non esser vissuto in quell’epoca e così ho voluto rivisitare il cinema di quel periodo. Ho rifatto delle variazioni libere, delle composizioni». È ormai nota anche la sua passione per l’Africa, dove si reca «ogni anno a settembre per un mese» e alla quale si è dedicato in seguito all’interruzione del suo lavoro, dovuta al passaggio al digitale. «Quando uscì Il re leone ci fu una prima europea e mi chiesero di realizzare un’opera da mettere all’asta», così decise di dipingere un leone, che fu venduto ad un prezzo molto più alto di quello che Casaro stesso immaginava. Iniziò così questa passione che tutt’ora coltiva.
Renato Casaro ha ufficialmente dichiarato che non avrebbe più realizzato lavori per il cinema, eppure, ammette in chiusura: «Vorrei tanto sfidare qualcuno con il computer». Speriamo che questo qualcuno colga la provocazione, così forse potremmo nuovamente riempirci gli occhi delle opere di un grande pittore del cinema.

È possibile visitare la mostra a lui dedicata presso la Biblioteca Renzo Renzi, dove sono stati affissi dodici bozzetti originali dell’epoca.

Roberta Cristofori

Foto di Lorenzo Burlando